LA NAZIONALE AGRICOLA
Dopo l’articolo apparso nell’ultimo numero dello Spekkietto prima della pausa forzata, dove avevo parlato di sport e di vita casolana prendendo spunto da una vecchia foto del 1970, Michele mi ha invitato a dare un seguito proponendo altri articoli sullo stesso argomento e continuando a prendere ispirazione da vecchie foto.
Ho deciso così di seguire un ordine cronologico e questa volta attingere ai ricordi da una foto datata 1973 che raffigura una squadra di giovani nel vecchio campo sportivo di Casola.
In quell’anno a Casola non esisteva nessuna squadra di calcio che partecipasse a campionati ufficiali; si era infatti nel periodo di transizione tra lo scioglimento della vecchia società e la nascita della nuova associazione che avrebbe preso il nome di A.C Casola. In quel periodo si giocava in forma molto libera e noi ragazzi ci trovavamo al campo a tutte le ore a fare gare di tiri in porta, oppure a giocare interminabili partite a porta romana. Raramente nei giorni feriali si riusciva ad essere un numero sufficiente per poter giocare partite a tutto campo. Quel numero non solo lo si raggiungeva, ma lo si superava abbondantemente il sabato pomeriggio, con il risultato di giocare partite caotiche, su spazi intasati dai troppi giocatori senza la possibilità di distinguere velocemente i compagni dagli avversari, in quanto le squadre non indossavano casacche né tanto meno divise. Per chi amava veramente giocare era quindi molto difficile riuscire a divertirsi.
In tutti noi ragazzi rimaneva così la voglia di giocare partite un poco più regolari. Ricordo di avere partecipato a numerose sfide giocando con gli Scout contro gli amici-rivali del Club del Domani e ad altre dove a sfidarsi erano le varie classi della scuola media.
Una partita fu poi per alcuni di noi memorabile, giocata a Casola e organizzata da Nunzio Poggiali: noi ragazzi casolani un po’ sbandati, che non avevamo mai avuto un allenatore, contro il blasonato Castel Bolognese che partecipava al regolare campionato F.I.G.C. Quando giocammo quella partita, io facevo la prima media ed ero il più giovane in campo. Ho ancora un nitido ricordo dell’avversario che mi marcava: un tipo che faceva la prima superiore e che ai miei occhi di bambino sembrava un gigante. Appena iniziata la partita il gigante si presentò dicendomi: «Piccolo non potevi essere più sfortunato, mi chiamano Stile». Immediatamente collegai quel nome al viso inquietante del feroce mediano del Manchester United e della Nazionale inglese che conoscevo dalle figurine dei calciatori dei Mondiali 1966 e per averlo visto giocare contro il mio Milan le due semifinali di Coppa Campioni 1968/69. Il gigante aggiunse poi che non avrei toccato palla e che se avessi cercato di farlo non mi avrebbe fatto finire la partita tutto intero.
Quella era la prima partita che giocavo per il Casola e chissà quanto tempo sarebbe passato prima di poterne giocarne un’altra. La mia voglia di giocare era troppo grande e le minacce di Stiles non avrebbero in nessun modo potuto togliermi quel piacere. Pensai così soltanto a divertirmi e lo feci segnando anche uno dei tre gol che ci permisero di vincere quella partita per 3 a 2 nell’incredulità generale, soprattutto di allenatore e dirigenti del Castel Bolognese.
Probabilmente quel desiderio di giocare partite vere non era soltanto di noi ragazzi, ma anche degli adulti che finalmente in quell’estate del 1973 si decisero ad organizzare un torneo per soli casolani, nati, residenti o assidui frequentatori. La risposta a quella possibilità di giocare, divertirsi e socializzare fu di grande entusiasmo e partecipazione, tanto che quei tornei continuarono ad essere organizzati con un numero sempre più elevato di squadre partecipanti fino al 1978. In quelle partite si poteva assistere a giocate di buon livello, ma anche ad azioni adorabilmente goffe, a giocatori che avanti con l’età e con poco allenamento potevano inciampare nel classico filo d’erba.
Potevano anche verificarsi infortuni dalla sequenza alquanto bizzarra, come quello capitato a Maurizio Isola, il mai dimenticato “barone”, che nel cadere in seguito ad un contrasto si procurò una distorsione alla caviglia e nel tentativo di rialzarsi si storse anche l’altra, con il risultato di dover passare le due settimane seguenti con entrambe le gambe ingessate. Anche Piero De Caro, attaccante del Bar Taverna, fu protagonista di un infortunio piuttosto buffo: nell’atto di calciare un rigore, durante la rincorsa si procurò uno stiramento al bicipite femorale che bloccò la sua azione prima ancora di riuscire a impattare il pallone.
In quel ’73 io, Sergio Spada, Massimo Tabanelli, Pier Giacomo Lasi e Carlo Giacometti, eravamo praticamente sempre insieme e anche Piero Dall’Osso si univa a noi ogni volta che riusciva a tornare a Casola da Villanova di Forlì, dove si era trasferito con la famiglia. Poi c’era Antonio Quarneti (Tonino dla cà), che soltanto saltuariamente faceva parte del nostro gruppo, probabilmente perché essendo di qualche anno più grande aveva anche altri interessi, ma era comunque sempre il benvenuto perché, oltre alla sua innata simpatia, spesso finanziava le nostre ragazzate. Non posso dimenticare di citare Pierino Malavolti, in quell’anno non ancora dei nostri perché seminarista a Imola, ma che lo sarebbe diventato di lì a poco, dopo essersi ritirato dal Seminario.
Io, Sergio e Massimo in quel periodo giocavamo nelle giovanili dell’A.R.S Riolo Terme, avevamo vinto il campionato provinciale di categoria e lo avevamo fatto in maniera fantastica, senza subire nessuna rete durante tutto l’arco del campionato. In realtà una rete ci fu inflitta sul campo del Bagnara, dove pareggiammo per 1 a 1, ma il nostro dirigente Leonardo Turrini scoprì un imbroglio da parte dei nostri avversari che avevano giocato quella partita con quattro giocatori di età superiore a quella consentita per quella categoria. Il ricorso conseguente fece sì che quel risultato venisse trasformato a tavolino in un 2-0 a nostro favore. Eravamo così forti che il nostro portiere Mongardi, soprannominato Mucca e che da grande sarebbe stato per qualche anno direttore a Casola della banca Antonveneta, in un incontro di campionato giocato a Riolo, durante lo svolgimento del gioco venne ammonito dall’arbitro che lo sorprese mentre giocava a carte con degli amici estranei alla partita che si erano tranquillamente sistemati dietro alla sua porta.
Pensando a quella vittoria ho ancora bene impresso nella memoria il momento in cui l’Arci (Don Menetti) mi venne incontro con una copia del «Nuovo Diario» di Imola, dicendomi che aveva qualcosa da farmi leggere a patto che non mi montassi la testa, perché non c’era nessuna ragione per farlo. L’ articolo parlava della nostra vittoria, elogiava la nostra difesa per essere riuscita a mantenere la rete inviolata per tutto il campionato e si chiudeva con alcune righe sottolineate dall’Arci, dove vi era scritto: «Nota di particolare merito per Giordani, cannoniere principe del campionato». Wow!
Voglio poi ricordare due momenti collegati che evidenziano qualche differenza tra la vita degli anni ’70 e quella di oggi. Dopo la fine del campionato il Riolo mi cedette alla Robur Faenza assieme a Roberto Cenni, che era stato residente a Casola dai 2 ai 6 anni. Il Riolo ci premiò con una vera medaglia d’oro, non come quelle di metallo colorato che mi era qualche volta capitato di vincere, e quando io e Roberto andammo dai dirigenti Leonardo e Bertino a ringraziarli, ci risposero che dovevano essere loro a ringraziare noi, in quanto con i soldi incassati dalla nostra cessione avrebbero finalmente, comprato il primo pulmino per il trasporto dei giocatori. Oggi a causa delle casse vuote di un po’ tutte le società, escluse forse alcune di altissimo livello, e a causa del vincolo che non lega più il giocatore alla società per tutta la vita, trasferimenti come questi si fanno con esborsi minimi, nella maggior parte dei casi senza nessun movimento di denaro, a volte con il riconoscimento di una percentuale alla società di origine in caso di ulteriore cessione a squadra di categoria superiore da parte della seconda società.
Verso la fine di agosto iniziai gli allenamenti alla Robur e tutti i giorni per le prime due settimane dovevo recarmi a Faenza. Siccome gli orari delle corriere non combaciavano perfettamente, riuscii a convincere i miei genitori a lasciarmi andare per qualche volta in motorino – ricordo ancora il borsone sistemato nel serbatoio del mio Malanca testa rossa – e per le altre volte ad avere il permesso di poter fare l’autostop così da anticipare il rientro a casa. Non credo che oggi a qualche ragazzo di 15 anni sia concesso di risolvere la questione in questi modi.
Tornando al torneo per soli casolani che stava per essere organizzato, io, Sergio e Massimo appena ne venimmo a conoscenza decidemmo di parteciparvi. Informammo immediatamente gli altri amici. Piero, che quell’anno veniva anche lui da un’indimenticabile vittoria – la sua squadra, l’Edelweiss-Jolly, aveva infatti vinto il campionato provinciale forlivese per la categoria Allievi, battendo in finale ai rigori il favoritissimo Forlì proprio grazie alle prodezze di Piero che aveva parato ben 3 dei 5 rigori calciati dagli avversari – ci diede l’ok; stessa cosa fece Giacomo, che non giocava in nessuna squadra agonistica ma era un buon giocatore e si integrava benissimo con il nostro modo di giocare. Carlo invece aveva già scelto il ciclismo, mentre Tonino forse in quei giorni aveva altri interessi. Eravamo così in 5, numero non sufficiente per poter giocare quelle partite che si sarebbero giocate tra squadre di 9 giocatori (non 11 per le dimensioni ridotte del campo di Casola). Servivano almeno altri 5 giocatori. Decidemmo allora di ingaggiare Domenico Gentilini, che giocava con noi a Riolo, Maurizio Gentilini (Ginez), ala destra velocissima, e Giuliano Visani (Vice), centrocampista completo. Ginez e Vice giocavano con me, Sergio, Massimo nella squadra degli Scout. Ingaggiammo quindi come difensore di fascia Valerio Sagrini, che era compagno di Giacomo nella squadra del Club del Domani e che nei momenti in cui non andava a trifola trovavamo sempre al campo sportivo a giocare con noi. Si aggiunse anche Gigi Menzolini, giovane casolano di belle speranze che giocava nel Castel Bolognese. Io e Gigi con i nostri 15 anni eravamo i più giovani della squadra, mentre Ginez e Vice, che di anni ne avevano 18, erano i più anziani.
A questo punto bisognava trovare il nome alla squadra. Io, con molta fantasia, feci un’associazione di idee: eravamo una squadra composta da giocatori di squadre diverse, Riolo, Edelweiss, Castel Bolognese, Scout, Club del Domani, come una Nazionale. Da qualche tempo, poi, eravamo soliti andare ad aiutare Sergio a sistemare le galline, e altre volte a dargli una mano nel podere di suo padre, un po’ come degli agricoltori. Ecco allora il nome: ci saremmo chiamati Nazionale Agricola.
Essendo una squadra di giovani sbarbatelli, non godevamo certo dei favori del pronostico e il nostro obiettivo era quello di vincere qualche partita in modo da qualificarci per la fase successiva per continuare così a giocare e a divertirci.
Nel girone di qualificazione battemmo a sorpresa il Renzuno dei fratelli Cenni e ci qualificammo al primo posto.
In semifinale ce la vedemmo con il Bar Nuovo che mio padre aveva da poco ceduto. La squadra era costituita da ex giocatori del Casola, sempre bravi ma un po’ avanti con l’età e poco allenati, tanto che li battemmo per 2 a 0, penso soprattutto perché correvamo di più.
Nell’altra semifinale il Renzuno vinse inaspettatamente contro la Pizzeria Jana, squadra favoritissima del torneo.
In finale ci ritrovammo così nuovamente contro il Renzuno. Molti di noi passarono quel giorno a Sasso Letroso fingendo di essere in ritiro come facevano le vere squadre. In realtà eravamo sì insieme, ma ad imbiancare la casa della Parrocchia che mio zio aveva preso in affitto da qualche anno. Sasso Letroso ci portò comunque fortuna, infatti battemmo di nuovo il Renzuno vincendo ancora con un classico 2 a 0. Non ricordo molto di quella partita se non che segnai il primo gol su rigore.
Con quel torneo e con quella vittoria inaspettata nacque la storia dell’Agricola. Il gruppo Agricola esiste ancora su WhatsApp, gli amici che ne fanno parte si ritrovano ancora regolarmente per aperitivi, pranzi, cene, gite e naturalmente partite a calcio… camminato.
Recentemente ho letto l’autobiografia di Sergio Scariolo, uno degli allenatori di basket più vincenti di tutti i tempi. In un passaggio del libro, Scariolo rievoca gli incontri con i vecchi amici e dice che in quei ritrovi a volte basta una sillaba, la strofa di una canzone, un qualcosa di anche solo lontanamente evocativo per far scattare l’onda automatica dei ricordi, la gioia e le risate. Sensazione non duplicabile, raggiungibile solo con gli amici di una vita.
Sono le stesse sensazioni che provo io ad ogni ritrovo con gli amici dell’Agricola, dove puntualmente vengono rievocati episodi di quel periodo.
Sono poi convinto che, oltre a noi, altri casolani abbiano ricordi di quella squadra. Non può averla dimenticata Claudio Cantoni (Fagiolo), che era la nostra mascotte, e nemmeno Claudio Menni, che qualche tempo fa mi ha detto che da bambino era affascinato da quella squadra dalle maglie bianco rosse. In realtà quelle maglie, che mio zio ha sempre custodito, avevano i colori sociali giallo-rosso del Borgo Rivola, che gli infiniti lavaggi avevano scolorito. Mi è capitato di sentire anche Tommaso Dall’Osso raccontare episodi con l’Agricola protagonista, ed essendo Tommy non ancora nato in quel periodo, posso dedurre che Babbo Piero e zio Sergio siano stati ottimi insegnanti di storia.
Maurizio Giordani