E’ nella natura delle vita che i figli sopravvivano ai genitori e che quindi arrivi il triste giorno in cui tenendogli la mano gli si stia vicino nell’ora del trapasso. Certo…più tardi possibile e magari dopo aver vissuto al loro fianco e averli visti invecchiare serenamente.

Non è invece nell’ordine delle cose dover salutare i propri cari adesso ..al tempo del lockdown da coronavirus. Ed è quello che è successo a me e alla mia famiglia…come a tante altre migliaia di famiglie, che per coronavirus o no (come nel caso di mio padre), hanno visto morire i loro cari. O meglio non li hanno proprio visti e han vissuto questo dolore in una modalità nuova e lontana dalle nostre consuetudini.

Mio padre infermo da anni “ ha fatto un crollo” ,come si usa dire, nei primi due mesi dell’anno e a fine febbraio la sua condizione fisica era notevolmente compromessa da un quadro definito dalle sue molteplici patologie (diremmo noi…un sacco di acciacchi più o meno gravi). Dopo aver perso la capacità di reggersi sulle gambe e di trascinarsi dal letto alla sedia, lo abbiamo visto incapace di reagire, allettato e sofferente senza sintomi particolari. Lo abbiamo assistito fino a quando non ci è stato più possibile, anche considerando la sua notevole stazza. Dolorosamente abbiamo deciso il ricovero presso una struttura protetta, che comunque lo ha ospitato per sole tre ore in quanto lo stesso giorno in cui è entrato, una febbre alta ha condotto il personale della struttura a decidere di portarlo al pronto soccorso.

E da lì è iniziato il doloroso percorso che dopo venti giorni lo ha portato al decesso. E’ stato surreale quando pochi giorni dopo il ricovero mi son presentata al reparto e mi han detto che non sarei più potuta entrare e che non lo avrei più potuto vedere per motivi di sicurezza sanitaria. Mi son trovata a implorare un’infermiera di concedermi un minuto per poterlo salutare e tranquillizzare , perché lui, ancora cosciente anche se confuso, sapeva che sarei andata ad aiutarlo per il pranzo, e io non volevo pensasse di essere stato abbandonato . Quella santa donna, che mi ha detto di chiamarsi Aurora e che ringrazio ancora, mi ha concesso un minuto per salutarlo ,durante il quale ho tentato di spiegargli il perché non mi avrebbe più vista e gli ho promesso che appena possibile ci saremmo rivisti. In cuor mio sapevo che quella promessa avrei anche potuto non mantenerla a breve termine….

Poi ho fatto il viaggio più triste che potessi immaginare verso casa….da sola a quarantena già iniziata (era in 16 marzo) sapendo che avrei portato a mia madre a mio fratello questa notizia pesante anche solo da pensare.

 

 

 

Sono seguiti i giorni di attesa e ansia. Attesa dell’ora in cui poter chiamare il medico e chiedere notizie sullo stato di salute di babbo. L’ansia mi prendeva tutti i giorni almeno un’ora prima della telefonata e mi accompagnava anche dopo, quando dovevo chiamare mia madre e mio fratello per riferire che la situazione era peggiorata. Le notti le ho trascorse girandomi nel letto senza riuscire a prendere sonno con il pensiero fisso laggiù, a Faenza e a quel letto di ospedale che ospitava babbo. La speranza era una sola…che non soffrisse , e su questo ero stata tranquillizzata dai medici, ma non potendolo vedere è stata solo una parziale consolazione. Poi è arrivato il giorno in cui mi han detto chiaramente che con ogni probabilità babbo non ce l’avrebbe fatta e che era solo questione di giorni…pochi.

Due giorni dopo è successo ed è arrivata quella telefonata.

E da lì oltre al dolore del distacco è arrivato il dolore per non poter affrontare quel momento come solitamente usiamo fare, attorniati da amici e parenti con un rito funebre consolatorio e che ci aiuta a percepire Dio Padre e il suo grande abbraccio verso noi suoi figli addolorati.

Ed è stato in quel momento che i social hanno sostituito gli abbracci fisici, e il telefono ci portava le voci dei tanti che hanno chiamato per starci vicini con la voce e col cuore. Un rito funebre privatissimo, all’obitorio, con la vicinanza di Don Euterio che ci aiutati a pregare ed affrontare questo strano momento. Ma nonostante tutto resta un sospeso anche nel lutto, resta bloccata la possibilità di piangere per me, forse per una incapacità di metabolizzare tutto questo in tempi brevi. Forse, stranita da questo stallo in cui si è posizionata la nostra vita, ho messo in pausa anche le lacrime. Forse mi sono imposta di non essere egoista e non piangere per il mio babbo in questo momento in cui il dolore per l’emergenza in cui siamo è grande ed è di tutti. Non lo so bene… credetemi. Ma so che quando potremo , vorremo celebrare una messa di memoria per pregare con la vicinanza di chi ci vuole ,bene perché quella vicinanza , in questo momento, manca davvero molto.

So che il mio babbo sta bene ed è nell’abbraccio di Dio Padre, ma non avrei voluto lasciarlo andare in questo momento e in questo modo

Ma , ripeto, sono solo una dei tanti a cui è capitato di perdere un caro in questo modo e in questo momento e di questo dolore comune voglio farne una forza….per consolarmi, consolare e ripartire…appena ne sarò capace e appena si potrà.

Sonia Galliani

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