Gianni Farina e Consuelo Battiston 2005 Casola Valsenio (RA)

Facciamo finta (ma forse neanche troppo) che i nostri lettori non conoscano per nulla Gianni Farina se non per il fatto di essere il figlio di, l’amico di, quello che viveva ecc ecc.. Facciamo finta di doverlo presentare ai nostri lettori. Quindi la prima domanda che dovrei porre è:

Che mestiere fai?

Se mi è rischiesta una riposta precisa dico che sono regista, drammaturgo, light and sound designer. Se  posso essere sintetico rispondo che faccio teatro. Ho fondato il gruppo Menoventi nel 2005 insieme agli attori Consuelo Battiston (di Fiume Veneto - un paesino friulano che aluni casolani conoscono bene: nel ‘96 ospitò un raduno degli speleologi) e Alessandro Miele (di Pompei, che ora ha lasciato la compagnia per fondare un suo gruppo a Lecce), ma a volte lavoro per progetti non direttamente connessi a Menoventi. 

Lasciamo perdere le domande del tipo “ma è un mestiere?”,  “ma ci campi?”, e vari altri ma che nascono da questo tipo di risposta. Un aspetto che reputo sempre interessante per un’intervista è conoscere come sono nate le passioni dei miei interlocutori A volte si tratta di un suggerimento dato da un amico, a volte da uno spunto a scuola o da una situazione che si presenta inaspettata. Nel più classico degli schemi una passione nata in famiglia. Nel tuo caso?

È frutto della somma di tanti piccoli passi, non riuscirei a individuare un momento X. Riesco però a ritrovare alcuni momento salienti. Il teatro mi ha sedotto subito dopo le medie,  grazie a una coraggiosa e intensa esperienza che alcuni gruppi romagnoli - allora quasi sconosciuti e ora ai vertici del panorama europeo -  realizzarono tra Casola e Tredozio. Tra questi c’era il Teatrino Clandestino, la formazione della nostra compaesana Fiorenza Menni, che mi fece anche scoprire il Festival di Santarcangelo, una rivelazione mozzafiato per un quindicenne. In seguito, alle superiori, frequentai diversi  laboratori e feci le prime esperienze sul palco, ma le contingenze economiche mi suggerirono di incamminarmi su strade meno incerte: ho fatto il cameriere, metalmeccanico, elettricista… è stato un percorso decisamente atipico per  mio attuale settore, popolato per lo più da persone di un’altra estrazione sociale. Nel 2001 anni ho saputo di un ottimo corso di formazione per attori, proprio a Santarcagnelo, e ho deciso di tentare: mi sono licenziato (era necessaria l’iscrizione all’ufficio di collocamento) senza sapere se avrei superato la selezione e mi è andata bene. Finito quel percorso ho ripreso la vita del cameriere, ma parallelamente non ho più mollato il teatro, fino a quando nel 2005 ho debuttato come regista con il gruppo menoventi. Lo spettacolo è andato molto bene e nel giro di tre anni ho smesso di fare altri lavori per mantenermi. Ovviamente tiro ancora molto la cinghia, il tetro non è la televisione.

Poi sappiamo che il sacro fuoco dell’arte non è sufficiente e diventano necessarie la volontà, la tenacia, la voglia di imparare e di migliorarsi, il bisogno di un maestro. Sbaglio?

Sul maestro posso aggiungere che ho incontrato almeno 4/5 persone che mi hanno cambiato la vita; mi hanno trasmesso curiosità, dedizione, uno sguardo più lucido sulla temibile struttura sociale che il genere umano ha generato. Grinta e argomenti, quindi, ma anche la necessità di avviare una ricerca formale onesta.

E la Fortuna?

 

 

Il caso è il pardone del mondo e dirige tutti le rappresentazioni, compresa la nostra vita quotidiana. Credo però che nel teatro abbia minore influenza rispetto ad altre situazioni del mondo dello spettacolo. L’idea che abbiamo del talent scout, del produttore o del regista che ti nota mentre porti il fratellino a scuola ha poca aderenza con la realtà teatrale. Gli attori e i registi devono pardoneggiare tecniche e competenze che  hanno assimilato attraverso un studio (anche autodidatta) di anni; il talento o un bel visino può bastare per il piccolo schermo, non per il palcoscenico. Per un regista forse vale ancora di più. Quando cerco un sostegno economico devo convincere il direttore o la commissione di turno della validità dell’idea atraverso lunghi colloqui che vanno a fondo su tutti gli aspetti del progetto.

Tu sei un uomo di teatro ma nello specifico sei autore e regista. Prova a spiegare in che cosa consistono questi due ruoli?

Spesso nel teatro contemporaneo i due ruoli si fondono. L’autore è il guardiano della parola, il regista dirige  tutti gli altri aspetti della messa in scena: il lavoro con lavoro con gli attori in primis, che devono però dialogare con la musica, le luci, le scene, i costumi e tutti gli elementi che compongono l’opera. Come molti colleghi che lavorano nel settore del cosiddetto “teatro di ricerca e sperimentazione”, che è il meno sovvenzionato, mi occupo anche del progetto sonoro e del disegno luci, ma questa apparente forzatura in realtà è una risorsa preziosa; la scenotecnica in questo modo può influire profondamente sugli altri elementi e acquista una dignità drammaturgica in grado di aprire un ventaglio più ampio di possibilità espressive.

Volendo spendere due parole sulla drammturgia: oggi spesso i testi degli spettacoli non nascono nella cameretta di un autore che scrive un copione in solitudine. Da qualche decennio ormai è sdoganata la Scrittura scenica, che mette in relazione la composizione testuale con le prove e gli attori: l’improvvisazione di questi ultimi (guidata da tematiche e stilemi – piena di paletti e di vincoli dunque) fornisce spunti a chi scrive, che il giorno dopo presenta una  riebolazione più “ragionata” di quanto visto; il testo prodotto viene nuovamente modificato dalle prove degli attori sul palco che lo restituiscono al drammaturgo e così via, finché non si avverte il giusto equilibrio tra la carta e il legno del palcoscenio, le parole che scaturiscono dalla penna devono essere incise sulla carne degli attori. Il metodo che ho descritto non è una ricetta magica, vale sono per taluni progetti e con determinate condizioni; noi abbiamo scritto diversi spettacoli in altro modo.

La tua sede è Faenza. Ho dato una sbirciata al vostro sito e ho intravisto notizie di laboratori per bambini e adulti

Il nostro progetto di formazione MEME ha quasi nove anni, ed è stato frequentato anche da due casolane, due Silvie che ce l’hanno proprio nel sangue.

Cambiamo spesso formato dei laboratori, ma sono sempre caratterizzati da un approccio poco accademico. Non insegnamo tecniche, non postuliamo una trasmissione di competenze di tipo scolastico. Ci avviamo insieme ai partecipaneti verso la creazione di uno spettacolo, e lavorando al nostro fianco loro hanno la possibilità di assimiliare un metodo e alcune competenze, come faceva il garzone nella bottega dell’artigiano.

Che tipo di teatro è il tuo? Prova a descriverlo a persone che sono totalmente profane.

Si tratta pelopiù di opere originali, raramente mettiamo in scena dei classici, e quando lo facciamo li rimaneggiamo moltissimo. Questo perché sentiamo la necessità di ancorarci al presente, il che – attenzione! - non significa brutalmente attualizzare esteticamente i grandi classici: quando vedo Amleto che ripete le stesse parole scritte 400 anni fa, con la stessa prosodia e le stesse intezioni retoriche, però lo fa con i ray-ban e un mitra a tracolla, mi viene da ridere per non piangere. Si può parlare del presente partendo da qualsiasi opera, per mezzo di qualsiasi testo e indossando qualsiasi costume (anche il mitra e i ray ban se hanno senso) ma è l’intento che muove gli autori a fare la differenza. Lo spettacolo ci ri-guarda,  deve parlare DI noi, anche attraverso il filtro dell’antichità se serve.

Ho sempre moltissimi riferimenti che stimolano e sostengono la creazione di un nuovo progetto, ma quasi mai parto dal teatro. La narrativa, la saggistica e il cinema sono i miei punti di ancoraggio più solidi. È difficile spiegare concretamente com’è un nostro spettacolo, non hanno tutti lo stesso registro. Faccio un esempio recente: l’anno scorso abbiamo concluso un progetto in Francia, in collaborazione con la compagnia Pardès Rimonim di Metz. Abbiamo realizzato tre episodi di circa venti minuti seguendo gli stessi princìpi, ne è quindi nata una miniserie teatrale. Il tema era la sopravvievenza e la froma indagata la copia. Tutto quello che si vedeva in scena era copiato dal cinema, dalla letteratura, da youtube… non potevamo fare nulla di originale, solo copiare. Il terzo e ultimo episodio, che non ha mai debuttato in Italia, era un corso di sopravvivenza copiato dai vari canaliyoutube dei survivalisti, un movimento che in Francia è molto attivo.

 

Vado a memoria, ma non ricordo nessuna tua rappresentazione nel natio borgo selvaggio; senza nessun tipo di polemica, ma è una questione di pubblico o di occasioni?

Forse non sono aggiornato, ma a quanto ne so a Casola non c’è un raasegna teatrale, e nemmeno un teatro. Come facciamo a venire? Mancano le basi. Purtroppo quando venne ristrutturato il Cinema Senio non si pensò a creare una struttura teatrale, forse perché Casola non ha mai avuto una tradizione di questo tipo e tutto sommato forse va bene così, il nostro paese si distingue per altre forme espressive (i carri sono davvero notevoli). Comunque in realtà siamo venuti qualche anno fa. Il Teatro del Drago ci invitò per il nostro InvisibilMente, l’unico lavoro che allora potevamo proporre in esterno, e lo facemmo al Cardello; c’era molta gente, ricordo con piacere quella serata.

Facciamo un patto. Entro l’anno ti vogliamo vedere a Casola

Purtroppo non posso stringerti la mano, è quasi impossibile. Per quanto detto sopra in parte, ma anche se si riuscisse a trovare uno spazio adatto a un nostro lavoro (un capannone, uno stanzone da qualche parte) credo che sia molto difficile vedere un quasiasi teatro aperto entro l’anno. Il mondo dello spettacolo dal vivo è il più penalizzato dalla brutta storia che stiamo vievendo e qui siamo tutti pronti a cambiare mestiere da un momento all’altro; non è escluso che si debba attendere un paio d’anni prima di poter tornare a teatro.

Intervista a cura di Riccardo Albonetti

link:

www.menoventi.com

 

ascolta:
Teatri in prova - Majakovskij 90 (Il Teatro di Radio3)

Per i 90 anni dalla morte di Majakovskij un progetto in prova e in attesa di debutto della compagnia Menoventi

https://www.raiplayradio.it/audio/2020/04/IL-TEATRO-DI-RADIO3---TEATRI-IN-PROVA--Majakovskij-90-711fae4e-034e-4cae-8b78-4643f268875f.html 

Condividi questo articolo
FaceBook  Twitter