Quella di inventare titoli di libri è arte difficile e preziosa. In un mondo editoriale iperaffollato, azzeccare la giusta accoppiata titolo-copertina può essere il colpo decisivo che permette di attirare l'attenzione di lettori frettolosi e quindi di emergere dai traboccanti scaffali delle librerie. Niente di nuovo, nel 1929 Arnoldo Mondadori per questi stessi motivi studiò a tavolino la grafica della sua nuova collana, “I libri gialli”, e ci azzeccò visto che la sua scelta cromatica non solo sopravvive ancora oggi ma è divenuta indicazione di un genere letterario. Non c'è quindi da stupirsi che il titolo scelto da Cristiano Cavina per il suo nuovo libro, Inutile Tentare Istruire Scemi, sia stato cambiato pochi giorni prima della pubblicazione dall'editore Marcos y Marcos in Inutile Tentare Imprigionare Sogni, mantenendo l'acronimo I.T.I.S. ma rinunciando a un po' di “pepe” e a dichiarare fin da subito l'ambiente in cui la storia si svolge, quello della scuola.
Conoscendo questi risvolti, raccontati da Cristiano nell'incontro di presentazione del libro tenutosi a Imola il 12 settembre, ho provato a giocare anche io a giocare con la sigla dell'Istituto Tecnico per provare a dire qualcosa non tanto sul libro ma più in generale sul lavoro di Cristiano. Mi è uscito questo Impossibile Trascurare Identità Scrittore che ho usato come titolo dell'articolo, acronimo che non sarà molto elegante ma esprime il mio pensiero che provo qui a spiegare.

 

Fin da quando ho iniziato a leggere i libri di Cristiano mi sono trovato di fronte al problema che credo abbia sfiorato la mente di ogni lettore casolano o di chiunque conosca Cristiano. Come gestire i mille riferimenti a persone note, eventi risaputi, luoghi abituali? In anni di studi letterari all'Università mi hanno insegnato a non confondere l'autore, che è un'entità astratta, con il tizio che scrive il libro, che è persona concreta, fisica. Centinaia di studiosi ci si sono persi dietro a questa distinzione, tu hai letto i loro libri, hai concordato con loro, poi però, alla prova del nove, quando ti trovi davvero di fronte al caso in cui il tizio che ha scritto lo conosci da quando non era certamente ancora “l'autore”, un po' di crisi ti viene. Quando poi tu stesso ti ritrovi dentro il libro che stai leggendo e la gente ti dice “Ma dai, sei tu quello che nel libro di Cristiano ecc.” non sai davvero più come coniugare la teoria con la pratica. Quando ho scritto di altri libri di Cristiano ho provato ad affrontare il problema, in maniera credo anche contraddittoria, per esempio chiamandolo per cognome per distaccarmi, ma con questo nuovo libro sono arrivato a una sorta di pacificazione. Anche perché Cristiano, saggiamente, abbandona (almeno in gran parte) l'ambientazione casolana per raccontare quello che è il viaggio di iniziazione di ogni adolescente cresciuto in un piccolo paese, la “discesa a valle” per frequentare le scuole superiori. Nuovi amici, nuovi luoghi, nuovi professori, nuove ragazze (anche se nel libro il buon Baldo la ragazza che lo fa soffrire se la trascina giù dal paesello...). Tutto nuovo, da scoprire. Anche per me, che non avendo frequentato la scuola con Cristiano, non avendo conosciuto i suoi compagni, ecc. ho potuto leggere con più distacco questa storia. Nonostante ciò rimango convinto che leggendo i libri di Cristiano non si possa, appunto, trascurare il fatto che sono scritti da Cristiano. Questo però, e sta qui il piccolo passo avanti che credo di avere fatto, credo valga per tutti i lettori, anche per quelli che non lo conoscono. Anche per quelli che abitano a Canicattì e hanno 70 anni. L'ho pensato proprio assistendo all'incontro imolese, ascoltando Cristiano raccontare aneddoti, divertire il pubblico, commuoverlo, sorprenderlo con un “Ciò Dio bo'!” in cui è racchiusa tutta la sua poetica. Di una cosa sono intrise le pagine di Cristiano, della capacità di raccontare. Anzi di più: del gusto, del piacere di raccontare. E questo coincide esattamente con quello che piace fare a Cristiano persona fisica, non autore di libri, stare ore a raccontare, quando non ri-raccontare per l'ennesima volta lo stesso episodio, cercando un nuovo dettaglio, o inventandolo se la realtà si è esaurita, una nuova intonazione della voce, una nuova parola da collocare al punto giusto.
So benissimo che in quanto sto dicendo non c'è nulla di nuovo, che Cristiano si dica narratore più che scrittore è cosa risaputa e che altri hanno evidenziato, ma quello che mi ha colpito l'altro giorno è la totale identità fra il Cristiano che scrive e quello che racconta. Quante volte ascoltare parlare l'autore di un libro che ci ha conquistato si rivela una delusione? O quante volte accade il contrario, che rimaniamo affascinati dalla parlantina di uno che invece poi scrive in maniera insopportabile? Con Cristiano questo scollamento non esiste, se hai apprezzato il libro non puoi non apprezzare i suoi racconti orali, così come se il libro non ti è piaciuto dubito che ascoltare Cristiano parlare possa farti cambiare idea. Dunque, Impossibile Trascurare Identità Scrittore non perché è un tuo amico, un tuo compaesano, o perché racconta eventi più o meno autobiografici (credo che bisognerebbe fare una legge che viete di chiedere agli scrittori quanto c'è di autobiografico nei loro libri, mai sentita una risposta originale a questa domanda e la colpa non è degli scrittori, è proprio la domanda che è particolarmente stupida!), ma perché questa Identità – che comprende la personalità, il modo di affrontare la vita, di costruirsi una vita – è completamente trasferita nella scrittura. Non è una cosa positiva o negativa in sé, è un modo di affrontare la scrittura/narrazione che Cristiano riesce quasi sempre a fare funzionare. Scavare una buca per esempio era, mi sembra, qualcosa di diverso, e a mio personalissimo parere non funzionava. Succede, è giusto tentare strade diverse ed è intelligente capire quelle su cui continuare a camminare e quelle su cui invece è meglio fare una bella inversione a U. Romagna mia! è stata un'altra strada ancora, diversa per necessità essendo diverso il libro che ne doveva uscire, e (sempre secondo me) ha funzionato perché Cristiano è riuscito a fare scattare il meccanismo descritto prima, di mettere la propria identità nel libro anche quando il libro non parla di lui.
Inutile Tentare mi sembra un'altra strada percorsa con successo, che riprende ma innova il filone dei primi tre romanzi. Ma si può davvero parlare di romanzi? Pensate: qual è la trama dei libri di Cristiano? Se c'è è scarna, limata all'osso, riassumibile in poche parole e sicuramente priva di eventi eccezionali. Non che tutto ciò sia necessario in un romanzo, anche perché è già difficile intendersi sulla nozione di romanzo. Però la presenza di una trama più o meno inventata per esempio distingue – in una visione molto tradizionale, banale e schematica della suddivisione dei generi – il romanzo dal saggio, o dalla poesia lirica. Quindi? Forse quelli di Cristiano non sono romanzi ma ibridi e la riprova è che Romagna mia!, che è – nominalmente e nelle intenzioni – un saggio, lo si legge con lo stesso piacere di un romanzo, mentre Tolintesac può benissimo essere letto come documento sociale che racconta un tempo e un modo di vivere che non c'è più. Quello che li fa funzionare è proprio il gusto del racconto, la capacità di costruire un edificio affascinante e piacevole su uno scheletro così esile che a prima vista non sembra potere reggere quel peso. E allo stesso tempo mantenere l'equilibrio che permette all'architettura di non crollare. Non a caso Cristiano ha più volte detto della difficoltà di tenere a freno la propria voglia di raccontare, di inserire altri episodi nel testo che però si tirerebbero dietro nuove storie, nuovi personaggi, e finirebbero per “mangiarsi” quanto già costruito trasformando tutto in un informe blob.
Visto che qualcuno dopo avere letto la mia recensione a Romagna mia! mi ha chiesto: “Ma il libro ti è piaciuto?”, questa volta fugo ogni dubbio eventuale. A me Inutile Tentare Imprigionare Sogni è piaciuto. Se si intitolava Inutile Tentare Istruire Scemi mi piaceva anche di più, però mi sembra che Cristiano abbia ritrovato la vena dei primi libri inserendo però al contempo piccole novità, piantando qualche paletto di una nuova strada da intraprendere. Se poi devo dire cosa mi è piaciuto in particolare, mi vengono subito in mente i due capitoli dedicati al Conte Vlad. Niente vampiri, il Conte in questione è uno dei professori, figura che se parlassimo di Pirandello non potremmo che definire umoristica, capace di suscitare in un sol punto lacrime di commozione e di divertimento. Leggendo il primo dei due capitoli mi sono ritrovato a non riuscire a trattenere rumorose risate su un autobus – la gente mi guardava come fossi deficiente ma vabbè – poi a sganasciarmi con mia moglie mentre glielo leggevo. Ma allo stesso a riflettere con lei, che è professoressa, sulla sofferenza di quel povero uomo che si accorge di non riuscire a continuare a insegnare, di non esserci portato. Poi mia moglie mi ha detto: comunque in confronto a certe classi che vedo oggi, questi ragazzi sono zucchero (non l'ha detto proprio così, ha usato termini più da professoressa, ma il succo era questo). Sentendo questo e sommandolo a tanti altri racconti fatti da chi insegna oggi, mi viene da chiedermi: non è che anche il mondo della scuola di 20 anni fa si è estinto? Gli studenti di oggi saranno ancora capaci fra 20 anni di ridere ripensando alla loro avventura scolastica? Indispensabile Tenere Intatte Speranze.

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