È una “tranquilla” mattina di aprile. 

Appena sveglia apro Whatsapp e ci trovo già una cinquantina di messaggi sulla chat “supporto digitale”.
«Cancellate subito Zoom! È pericoloso!»
Zoom è un esemplare della misteriosa fauna di piattaforme che imperano in quest’epoca di scuola didattica a distanza.
Già, perché all’epoca del Coronavirus non bisogna solo inventarsi di una nuova vita all’interno delle mura domestiche, ma applicare tutte quelle nuove metodologie digitali per cercare di mantenere una qualche parvenza di normalità nel mondo della scuola.
Dobbiamo stare chiusi in casa? Apriamo Google e di lì su può andare dove si vuole. Anche a casa dei propri scolari che sbadigliando si presentano in pigiama col baffo color cioccolato e lo zucchero a velo sul mento.
Gli studenti più grandi hanno gli appuntamenti con i loro prof e la giornata è scandita da orari, interrogazioni, lezioni e correzioni, tutto digitale. Si ritrovano tutti lì in quello schermo e dopo due mesi di “prigione” è un modo per non perdersi e restare insieme. Ci sono gli stessi volti, gli stessi prof e si cerca di dare un senso di speranza per non spezzare il filo che li lega, soprattutto per non lasciare nulla di intentato. Ma questa scuola è tutta un’altra cosa.
L’energia di condividere spazi comuni, il bisogno di confrontarsi, il modo di interagire, l’energia che fluisce dai rapporti umani, sono la vere mancanze. Ci si barcamena, ci si sorride attraverso la piattezza di quello schermo che per fortuna ci tiene uniti, in qualche modo.
Di sicuro le nuove generazioni sono quasi sempre attrezzate a livello tecnologico e riescono a districarsi nella giungla di internet. Invece io, che ormai sono un dinosauro, spesso mi sento inadeguata e mi muovo a tentoni nel mondo della scuola digitale.
Clicca lì, scarica il link, crea un Padlet… attenta agli hacker (ma loro, scusate, fanno lo smart working?).
«Allora Paola, adesso entra in Google.»
«Fatto.»
«Ora scrivi WWW…»
«Dove? Ah sì… ecco, e adesso?»
«Adesso guarda sulla destra, c’è una freccina, la vedi? Spingi sulla freccia.»
«Aspetta che non la vedo… eccola!»
Margherita, la mia collega “digitale” (che fu mia scolara nell’epoca del Cenozoico), mi segue in videochiamata con infinita pazienza e mi guida, passo passo, nel sentiero virtuale per accerede, click dopo click, alle app, ai siti, ai Padlet, a Meet ecc ecc.
Intanto io mi segno i nomi, scrivo le sequenze, annoto le password (maledette) che sono infinite e devono essere cambiate molto spesso.
Ora potete immaginare la fatica di muoversi in questo labirinto pieno di trappole. Sì, perché se anche sei seduto comodamente in casa tua, col pc davanti, credi che non ti possa succedere niente di male… e invece a me basta un battito di ciglia che lo schermo cambia pagina o i caratteri diventano cubitali… aiuto!
«Lorenzooo!»
È sempre reperibile mio figlio (anche perché è bloccato in casa pure lui), è il mio tecnico pronto ad intervenire quelle volte (sempre) in cui mi trovo bloccata davanti al computer.

 

«Devi registrarti mamma.»
«Ma l’ho poi fatto!»
«Scrivi la password.»
«Non me la ricordo!»
«Il quaderno delle password dove l’hai messo?!»
«Non me lo ricordo!»
Il Corona non mi è ancora venuto, ma un po’ di Halzeimer ce l’ho già. Lui questo non me lo dice, perché è gentile, ma io me lo dico da sola e ci rimango male ogni volta.
«Ecco la password… l’ho messa, ma mi dice di cambiarla perché è scaduta»
«Allora cambiala!»
«Aiutami per favore.»
«Sì però poi te la segni, eh?»
Ecco la nuova password, altro ingresso per entrare non so dove, né per quanto tempo.
Sbuffo e come un vero brontosauro digrigno i denti e vado avanti… intanto Lorenzo si eclissa.
«Ceciii! La connessione è saltata! Non si vede più niente!»
«Mamma sono in video lezione, non posso aiutarti, devo interrogare sui Promessi Sposi!»
E la vedo oltre la finestra mentre ci dà l’anima, anche da qui per tenere il filo con i suoi studenti, come un’Arianna nel labirinto della rete. Non c’è il Minotauro e Cnosso è lontana, ma ora è distante anche Piazza Oriani, perché tanto non ci si può andare.
Le piattaforme virtuali ci fanno incontrare, basta avere le chiavi per entrare. Basta voler tentare di accorciare e dissipare questa distanza forzata, ma io ho un po’ di nostalgia delle cose vere, reali.
E mentre mi sciolgo alla vista di un nuovo fiore che si è aperto stamattina, come per magia, nel mio giardino, penso a quant’è bello vedere arrivare i bambini a scuola alle 8.00 di una qualunque mattina, con gli zaini pieni di storie e di avventure.
E poi ripenso alle chiacchierate, ai racconti del lunedì, alle letture al buio, agli sguardi, alle domande, alle abbracciatone…


Penso a tutta la nostra umanità che ora è bloccata in casa e non può muoversi per esprimersi nel dare o nel ricevere.
Ieri se n’è andato anche lo scrittore Sepùlveda, a causa del Coronavirus. Fu lui a scrivere che da una porta chiusa non esce la tristezza e non entra l’allegria.
È proprio così, lo stare insieme genera tanti sentimenti che sono la più intensa manifestazione del nostro essere esseri umani (perdonatemi il gioco di parole).
E mentre osservo e controllo se è cresciuta l’insalata, penso sorridendo che un piccione viaggiatore non sarebbe riuscito a trovare il modo di collegarci come lo sta facendo ora la rete.
E mi viene in mente che ieri sera, mentre stavo registrando un video con Screencast-O-Matic per presentare i suoni Qu e Cu con le loro differenze ortografiche, è passato il gatto che faceva degli strani singulti. Chissà, forse i bambini avranno riso nel vedermi nella mia dimensione casalinga di maestra “brontosauro” alle prese con un esemplare del genere felix che stava disturbando una lezione virtuale.
Così mi aggrappo a questi sorrisi a distanza, in attesa di quelli veri, più belli.
Un abbraccio da qui: #iorestoacasa (speriamo per poco).

Paola Pozzi

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