STREET ART a Casola
In origine il dibattito era tutto incentrato sulla questione se un murales fosse o meno arte. Il grande scontro era tra coloro che sostenevano si trattasse di puro e semplice vandalismo e tra quelli che già intravedevano una forma di espressione significativa e da ammirare. Gli autori di tag e murales rimanevano entro uno spazio di anonimato oppure semplicemente usavano nome fittizi che difficilmente erano riconducibili alla loro vera identità. Cappucci calati sulla testa, grossi zaini pieni di bombolette spray, mani imbrattate di vernice erano i segni distintivi di quei ragazzi che sfidavano metropolitane, cavalcavia, stazioni ferroviarie per “imbrattare” muri. Si trattava di una cultura “contro”, di artisti che provenivano da zone marginali, da quel mondo della strada che prima era tutto americano e poi aveva fatto breccia anche nelle nostre grandi città. Come una sorta di movimento concentrico dalle degradate periferie delle nostre metropoli, il fenomeno si è spostato verso centri minori e man mano ha toccato anche aree piccolissime, paesi, paesotti, strade di campagna (una delle prime prove di quanto è avvenuto lo si può trovare sotto il ponte di Arsella). Questo processo è stato accompagnato anche da una sorta di istituzionalizzazione delle varie forme di street art: le amministrazioni delle città hanno smesso di dare la caccia allo spray e hanno cercato di ritagliare spazi appositi in cui dare la possibilità agli artisti di esprimersi – il risultato è stato un dilagare di murales. Ovviamente la forza espressiva dei murales nella maggior parte dei casi è stata depotenziata e oggi ci troviamo di fronte ad opere gradevoli, capaci di occupare anche grandi superfici ma che raccontano veramente poco a chi le osserva. Nella nostra società le forme di controcultura nel breve giro di tempo vengono assorbite dalla cultura di massa, sfrondate di quelle caratteristiche più disturbanti, normalizzate. In ultima istanza il mercato entra prepotentemente e vede la possibilità di muoversi e farne una fonte di guadagno. È il ragionamento che ha portato privati e musei ad impossessarsi di murales, di comprare opere di street artists e di rinchiudere in uno spazio chiuso quello che era nato per stare fuori, sia in senso fisico che metaforico. La street art rischia quindi di essere normalizzata e cannibalizzata dal potere. È un po’ quello che è avvenuto con il murales delle case popolari di Casola dipinto da Zed1. Al di là della buona intenzione del committente, che pensava di migliorare lo spazio del cortile interno delle case popolari, al di là del pregio dell’opera, risulta palese come il soggetto sia il frutto di un addomesticamento dei contenuti: i frutti dimenticati, un folletto (Casolicchio????), le mani che si uniscono. L’immagine è veramente gradevole, però il tasso di retorica è alto. Quanto racconta delle case popolari quel dipinto? Che cosa mi dice della storia delle persone che hanno vissuto e vivono in quei due palazzi? L’impressione è che si voglia trasmettere un significato agganciato ad una certa idea turistica di Casola, frutti dimenticati e favole, e che scavi poco nell’identità del paese e dello spazio che la accoglie. Queste sono le domande che mi pongo ogni volta che passo davanti all’ingresso delle case popolari e punto lo sguardo su quei colori. Una situazione analoga è accaduta nell’edificio che ospita le Poste. Un disegno ben fatto, simpatico, gradevole, che strizza l’occhio al mondo dell’infanzia, nel quale è possibile intravedere un intento favolistico e che certamente migliora nel suo complesso quello che è l’aspetto esteriore dell’edificio. L’effetto che ha sortito ai miei occhi però è sempre quello – una curiosità superficiale: non mi ha suscitato nessuna reazione di pancia e nessun ragionamento. Il rischio, non così grave ovviamente, è che paesi e città si riempiano di murales allo stesso modo in cui le case si riempiono di quadri orribili, di brutte copie, di presunte opere d’arte, con la grande differenza che in uno spazio privato ognuno ha il sacrosanto diritto di coprire le pareti con quello che vuole, mentre in uno spazio pubblico le cose stanno diversamente. Non è che il murales oggi serva come una bella vetrina? Un certo tipo di ragionamento serve.
Ho apprezzato molto di più l’opera di un altro street artist. É un piccolo foglio appiccicato allo sportello della cabina Enel del viale delle Rimembranze. Non si fa notare eppure è di un artista molto quotato, Blub, che fa indossare maschere da sub ai suoi soggetti – siano essi dipinti famosi, personaggi storici o figure di sua invenzione – e vuol farci capire che si può sopravvivere anche in momenti di crisi (l’idea originale infatti gli è venuta in mente diversi anni fa, nel pieno della crisi economica che stavamo attraversando). Altre opere dell’artista le ho incontrate girando in alcune città, Firenze, Arezzo e Ravenna e mi ha fatto piacere pensare che anche Casola sia un tassello del percorso di speranza disegnato e progettato da questo artista – inoltre, è bello immaginare che l’artista l’abbia fatto di nascosto, magari di notte, coperto da un cappuccio (chissà?) e che siamo svegliati con un pensiero nuovo in testa.
Riccardo Albonetti