Lo stato di salute dei CASTAGNETI

Nell’ambito della 29esima festa dei frutti dimenticati si è svolto sabato 12 ottobre il convegno “ lo stato di salute dei castagneti” organizzato dall’amministrazione comunale in collaborazione con la Pro Loco.

 Il raccolto di questa annata si presenta purtroppo povero in quantità prima di tutto per una scarsa allegagione con molta probabilità causata dalle intense precipitazioni del mese di maggio e le sue basse temperature che per diverse notti sono state prossime allo zero. In secondo luogo i pochi ricci presenti sui rami sono stati attaccati in modo massiccio dalle cidie, piccole farfalline le cui larve si nutrono dell’endosperma del marrone: si stima che quasi la metà dei frutti caduti a terra sia bacato quindi invendibile.

Ovviamente il prezzo è stato alto ma non tale da recuperare il deficit del raccolto.

L’incontro, dopo l’introduzione e il saluto di Giorgio Sagrini, sindaco di Casola, è iniziato con la relazione di Massimo Bariselli del servizio fitosanitario della nostra regione che ha esposto la tecnica del disorientamento sessuale come metodo per la lotta a queste cidie. Si tratta di appendere lunghi fili alle branche del castagno imbevuti del feromone femminile. I maschi restano quindi disorientati nel cercare le femmine per accoppiarsi e volano fino allo sfinimento. Questi fili infatti creano una nuvola di feromone attrattivo che persiste da metà luglio fino alla raccolta di inizio ottobre e se manca l’accoppiamento mancano anche le larve che sono lo stadio dell’insetto che produce il danno  comunemente  detto da “bacato”. E’ un metodo biologico che nei nostri appezzamenti di castagneto perlopiù di forma irregolare e spesso confinanti con castagni selvatici trova qualche limite di efficacia. Basta infatti che una qualche cidia femmina fecondata  voli dal selvatico  dentro il castagneto e il sistema non funziona più.

Giorgio Maresi della fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige ha invece esposto la situazione rispetto a due temibili malattie causate da funghi. La prima è il cancro della corteccia. Arrivato in Europa nella prima metà del secolo scorso trasportato dalle navi mercantili che giungevano dagli Stati Uniti, ha pian piano conquistato tutta la penisola mettendo a rischio la vita delle piante. Qui infatti penetrando nelle ferite e nelle lesioni della corteccia provoca delle necrosi con rigonfiamenti e ulcerazioni che causano il disseccamento prima del ramo poi via via delle branche più grosse fino a coinvolgere la pianta intera.

Per fortuna la malattia si presenta anche sotto una forma ipovirulenta. Esistono cioè ceppi di questo fungo meno aggressivi. Se la pianta è in salute riesce a reagire senza seccarsi. A seguito dell’invasione della vespa cinese questo fungo ha creato danni ai castagni con vistosi e diffusi seccumi nelle parti apicali della chioma. Sicuramente più pericoloso è invece il mal dell’inchiostro così chiamato perché dalla base del tronco della pianta colpita comincia a colare una sostanza nera simile a un inchiostro. Si ha inoltre deperimento della pianta, ingiallimento della chioma, disseccamento degli apici, fruttificazione concentrata sulle sommità dei rami, ricci di minori dimensioni rispetto al normale. Nei casi più gravi il patogeno porta la pianta alla morte nel giro di uno o due anni. La progressione della malattia è strettamente legata, alla vigoria e all’età delle piante, alla virulenza del patogeno, ma soprattutto all’umidità del terreno e ai ristagni idrici. La lotta a questo fungo è difficile. Non esistono interventi diretti. Un qualche risultato, ha spiegato Maresi, lo si è ottenuto concimando con la pollina.

Carla Montuschi del servizio fitosanitario regionale ha poi presentato la ricerca che si sta svolgendo qui a Casola con la partecipazione di tre aziende castanicole ( azienda Pifferi Alessandro, Rensi Maurizio e il Poggio) su di un’avversità fungina molto temibile: la Gnomoniopsis. Da alcuni anni i marroni, pur apparendo esternamente belli e sani, se li si apre sono marci, non anneriti, ma con una colorazione grigiastra e una consistenza appena un po’ molle tanto che a questa sintomatologia si è dato il nome di marciume gessoso. Venditore e acquirente credono di trattare un prodotto sano ma che in realtà porta dentro questo fungo e che rende il frutto incommestibile. In certe zone della nostra valle nello scorso anno si è registrato un danno dal 20 al 30% ma in alcune regioni del meridione intere partite di prodotto sono state ritirate dal mercato perché non avevano i requisiti di sanità richiesti. Di questa malattia si conosce ben poco.

A questo scopo, con il coordinamento dell’istituto agrario Scarabelli di Imola, è partita una ricerca che vede impegnati il servizio fitosanitario regionale e la fondazione Mach oltre alle tre aziende citate che hanno messo a disposizione tre castagni  ciascuna per le attività di ricerca. Su queste piante, il cui intero raccolto sarà esaminato frutto per frutto, sono stati posti nella chioma a partire dal mese di  giugno fino a ottobre con intervalli prima settimanali poi quindicinali dei cartellini spalmati con un silicone che intrappola le spore del fungo. Inoltre sono stati asportati dalla chioma dei tre castagni porzioni di rami, foglie e ricci che sono passati all’esame microscopico del laboratorio di micologia per scoprire l’eventuale presenza degli organi vegetativi della gnomoniopsis.

Alla raccolta ogni singolo frutto subisce un esame tattile per scoprire l’eventuale presenza del fungo  poi viene studiata l’efficacia di alcune tecniche di conservazione nel preservare il prodotto dall’attacco del patogeno.

Da una prima analisi dei marroni raccolti questa è un’annata con una scarsa presenza di Gnomonopsis ma la lettura dei dati di campo del laboratorio di micologia di Bologna ci stanno dando indicazioni molto preziose per capire il comportamento di questa temibile avversità fungina che comunque è presente in tutti i nostri castagneti anche se quest’anno pare silente.

Al termine dell’incontro ha preso la parola  Bruno Biserni presidente del GAL L’altra Romagna che ha assicurato l’interesse per la continuazione di questa ricerca allo scopo di sostenere l’unica produzione frutticola in grado di salvaguardare il reddito delle aziende di montagna e che giustifica la presenza sul territorio di agricoltori che svolgono non soltanto una funzione produttiva ma anche un valido presidio per la difesa idrogeologica ma, soprattutto, un mantenimento di valori paesaggistici e culturali fondanti le nostre comunità.

Roberto Rinaldi Ceroni