La fabbrica delle SUORE

Una serie di incontri più o meno casuali ha acceso il nostro interesse su di un periodo ed un settore che è stato molto attivo e dinamico a Casola per il mondo del  lavoro femminile.

Un passato recente (dalla fine degli anni  ’50  agli inizi degli anni ’80)  che conferma quanto siano stati importanti ed influenti nel  tempo, per la nostra comunità,  gli effetti  positivi  generati  dall’amore e  dal sentimento di vicinanza, che il Card. Giovanni Soglia nutrì sempre per  il suo paese natale.

Un brevissimo preambolo storico

Le  Suore Maestre Dorotee di Venezia  vennero chiamate a Casola Valsenio  dal Card. Giovanni Soglia nel lontano 1854 per dedicarsi  alla formazione ed alla istruzione religiosa e culturale delle fanculle e dei fanciulli. La suore si dedicarono all’istruzione elementare conformemente alle leggi  e regole vigenti a quel tempo. Tre suore furono assegnate all’insegnamento mentre altre si dedicarono  ai lavori ed alla scuola di lavoro. Iniziò così  la loro lunga avventura casolana. Passarono molti anni in cui pian piano il convento  venne ampliato e modificato e diverse nel tempo furono le funzioni educative svolte : asilo per i piccoli, scuole elementari, orfanatrofio (la prima orfanella fu accolta nell’Aprile del 1934, mente ben 35 provenienti da Fognano, Imola e Ravenna entrarono nel 1935) piccoli laboratori di maglieria e sartoria per la orfanelle.

Di grande importanza fu l’istituzione, nell’immediato dopoguerra, della scuola Media Privata, aperta anche agli stedenti esterni. Era l’unica scuola media della nostra vallata ed era frequentata anche da ragazzi provenienti da  Riolo Terme

Nel 1962 in Italia  fu abolita la scuola di avviamento professionale sostituita dalla  Sscuola Media Unificata che   rimase l’unica scuola a cui si poteva accedere dopo le elementari. Anche a Casola dunque la scuola di Avviamento divenne Scuola Media Statale e questo evento  comportò di conseguenza la chiusura della Media Privata tenuta dalle suore.

 

 I  laboratori

Verso la fine degli anni ’50 il fervore e la volontà di fare e di migliorare le proprie condizioni economiche spinse gli Italiani a diventare molto dinamici e creativi soprattutto nelle attività manifatturiere  artigianali ed  industriali.

Aumentarono dunque le occasioni  di lavoro e le nostre suore cominciarono a pensare di cogliere questi  nuovi fermenti  della nostra società  per fornire  alle ragazze casolane, soprattutto a quelle  che non avevano possibilità di continuare gli studi,  l’opportunità  di formarsi professionalmente e di  migliorare le loro condizioni economiche.

Nel campo della maglieria e della sartoria Le nostre suore avevano già  una certa esperienza  e pertanto  decisero di puntare su questi settori.

All’epoca  la reverenda Madre Superiora era suor Ermanna, una religiosa dal forte carattere e molto intraprendente. Un’ altra suora molto dinamica ed impegnata  nel settore dei laboratori  era suor Laura Sironi. Il  diario della cronaca del convento casolano riporta le note di un intenso andarivieni  di  quest’ultima  fra Casola e Bologna neli anni  1958 e 1959 per “bisogni ed impegni di lavoro”.  E’ chiaro che questa attività si riferisce alle esigenze delle attività lavorative che già impegnavano alcune orfanelle ospiti del convento.

E’ nell’Ottobre del  1959 che viene segnato un passo importante verso l’evoluzione di questa attività, infatti  la ditta  Callegari Chigi di Ravenna, in seguito all’interesse ed alle sollecitazioni  pressanti  condotte dalla Madre Superiora, decise  di aprire nell’Istituto casolano  un laboratorio per la confezione dei propri prodotti  : pantaloni, giacche,  indumenti di materiale plastico o gommoso ecc.ecc.

La Callegari  Chigi fornì le macchine e le attrezzature necessarie e le suore procedettero all’assunzione delle ragazze che riteneva più idonee a svolgere i lavori di confezione.  Inizialmente le ragazze scelte furono solo sette e poste sotto la direzione di suor Osanna.  Ben presto però si capì che la necessità di mano d’opera femminile sarebbe aumentata ed in fatti così fu.

Abbiamo già accennato a come le suore avessero  provveduto nel tempo ad ampliare i locali del convento che inizialmente erano costituiti dalla residenza della famiglia del Cardinal Soglia affacciata sulla attuale piazza Oriani.

Uno degli interventi  più importanti fu  l’innalzamento dell’ala prospicente via Soglia che fu adibita a sede delle scuole medie ed a dormitorio per le ragazze.

L’altra importante  realizzazione fu la costruzione ex novo nel 1956/57  di un edificio a tre piani  che occupò una parte del cortile e del terreno interno del convento. Anche in quest’ultima struttura dapprima furono ospitate solo le studentesse e le ragazze del collegio ma in seguito , il primo piano poi anche il piano terra, furono trasformati in laboratori di confezioni.

Gli anni dal 1959 al 1961 furono un periodo di intensa attività e le ragazze impegnate nei lavori di confezione aumentarono ben presto di numero.

Le giovani apprendiste venivano iniziate e preparate a svolgere le funzioni a cui erano indirizzate, sia da  alcune suore, sia da operatrici  inviate dalle ditte che fornivano il lavoro. In seguito furono le ragazze  stesse che avevano già acquisito  una certa esperienza  a formare e ad insegnare “il mestiere” alle novizie.

Il lavoro si svolgeva a “catena” e le ragazze erano divise a gruppi secondo le fasi di lavorazione: c’era chi tagliava le stoffe , chi realizzava le varie parti ; ( anteriore e posteriore del busto delle giacche, maniche, componenti dei pantaloni o delle gonne, tasche ecc. ecc. ) e chi  le assemblava, chi le rifilava, chi controllava il lavoro finito.  Tutto si svolgeva sotto gli occhi attenti  di suor Laura, suo Osanna, suor Lucamaria, suor Ciriaca, suor Onoria e della stessa Madre Superiore suor Ermanna che a loro volta, quando serviva,  non didegnavano  di impegnaarsi anche nel lavoro manuale del loro laboratorio.

Sviluppi ed evoluzione della produzione

Le ragazze impegnate nelle varie lavorazioni in certi momenti sfiorano e  superarono il centinaio.

A dicembre del 1961 la Callegari  attraversò  un periodo di difficoltà  e sospese temporaneamente la produzione. Le suore però avevano già intuito questo stato di cose ed avevano cominciato ad esplorare altri sbocchi di lavoro indirizzandosi anche alla produzione di  capi  di maglieria.

 Riportiamo qui di seguito una breve citazione del diario della vita del convento ( 27 dicembre 1961)  che chiarisce i termini della questione:

“ La Rev. Da Superiora, Suor Laura, Suor Osanna, Suor Renza si sono recate a Milano per impegni di lavoro di maglieria e di confezioni. La ditta Blayle ha stretto un contratto per il lavoro di maglieria, le condizioni sono buone. Essendo iniziato sin dal 2 dicembre un periodo di sosta del lavoro della ditta Callegari Chigi, in questa sua visita a Milano lo scopo della Superiora non mira ad altro che ad un incontro con una buona ditta di confezioni al fine di evitare un prolungato periodo di disoccupazione qui a Casola Valsenio, paese sprovvisto di qualsiasi industria. Questo non tanto a vantaggio finanziario delle ragazze, ma soprattutto per quello morale.”

A maggio del 1962 la Callegari  Chigi riprese la produzione a Casola ma con personale ridotto e pertanto le suore, al fine di impiegare le operaie licenziate iniziarono rapporti con la ditta Rizzoli di Bologna.

Con la soppressione della scuola Media Privata si era reso disponibile anche il piano terra dell’ala del convento prospicente via Card. Soglia (dove attualmente opera il negozio Crai e la tavola calda gestita da Conti Miriam) e  questo locale fu adibito soprattutto a reparto di maglieria. Per le suore il venir meno della scuola Media rappresentò anche uno stimolo per trovare altri sbocchi di lavoro e di sostentamento ed ampliare  la gamma della loro produzione. Uno dei settori importanti, che si aggiunse alla maglieria ed alla confezione sartoriale per la Callegari e Chigi, fu  quello delle sottovesti.

Con il passare del tempo si cominciò anche a cedere alcune funzioni produttive all’esterno, a ragazze o giovani spose che lavoravano a domicilio. Dapprima furono le stesse ragazze dei laboratori  che, per integrare il reddito, portavano a casa parti di lavoro da fare, inizialmente soprattutto lavori di rifinitura, poi però alcune si dotarono o furono dotate anche di macchine (cucitrici, rimagliatrici ) con cui svolgere lavori più complessi ed importanti.  Si costituirono così gruppetti di lavoro esterno  che operavano autonomamente magari  mantenendo contatti e rapporti con l’organizzazione delle suore per l’approvvigionamento delle commesse di lavoro. Tutto ciò si prolungò per tutti gli anni ’60 , ’70 e gli inizi degli anni ’80.

L’ambiente di lavoro ed i rapporti fra le ragazze e le suore

Per mettere insieme le notizie ed il materiale per scrivere il presente articolo abbiamo incontrato ed ascoltato i racconti di  diverse “ragazze” che hanno vissuto quella esperienza e ci ha meravigliato  l’unanime ricordo  positivo e riconoscente per quella stagione della loro giovinezza. Conservano molta gratitudine verso le suore per l’opportunità che offrirono a tutte loro di poter adire ad un lavoro e ad un reddito in un paesino che occasioni  di lavoro, specie per le donne, ne riservava ben poche.

Anche l’atmosfera all’interno dei gruppi di lavoro era generalmente caratterizzata da cordialità, cameratismo, amicizia. “Quanto ci siamo divertite!” è un’affermazione spontanea che abbiamo sentito spesso ripetere dalle “signore” interrogate.

Certo, le suore mantenevano una certa disciplina interna, senza la quale nessuna efficace operazione produttiva sarebbe stata possibile e realizzabile. A volte le suore dovevano anche minacciare azioni dure (in particolare in occasione di alcuni ammanchi che si verificarono ) ma tutto poi si risolveva con un predicozzo ed il ritorno della buona armonia,  del rispetto e della correttezza. Anche gli ammanchi a cui abbiamo accennato si risolsero con la restituzione discreta  delle cose sottratte da parte delle anonime  responsabili.

Talvolta per certi errori di produzione veniva richiesto alle ragazze, più per benevola ammonizione che per ammenda vera e propria,  un piccolo lavoretto aggiuntivo. Una ragazza ricorda che per il distacco di un paio di trecce di maglia, dovuto alla cucitura sbagliata,  la suora responsabile del laboratorio le chiese come risarcimento di confezionare  un paio di cuffie di lana da utilizzare per la lotteria di S.ta Lucia. La suora provvide poi ella stessa a ricucire le trecce.

Non mancavano poi gli scherzietti che le ragazze amavano farsi l’une con l’altre,  oppure  rivolti ai futuri clienti dei capi che venivano prodotti. Alcune ci hanno raccontato che talvolta infilavano nelle tasche dei capi di vestiario dei biglietti con frasi scherzose e,  raccontandosi fra loro la birichinata, si spanciavano poi dalle risate nell’immaginare cosa avrebbe pensato il futuro cliente quando, infilandosi le mani in tasca, avesse rinvenuto il “corpo del reato”.

Non mancavano nemmeno gli inconvenienti, come quando ad una ragazza si infilò in un dito un ago della macchina da cucire, incidente prontamente risolto dall’intervento di  Suor Osanna,  responsabile del laboratorio, che sfilò l’ago e disinfettò e tamponò la piccola ferita.

Tutte le interpellate riservano un vivo ricordo delle fasi della produzione a cui erano preposte. Alcune hanno lavorato sempre in un unico settore ( o confezioni di abiti, o maglieria, o sottovesti ) altre invece hanno operato nei diversi campi.

Tutte, nel riferire ciò che facevano, hanno arricchito il loro racconto con la descrizione delle macchine che utilizzavano, spesso ripetendo istintivamente ed automaticamente i gesti con cui le manovravano.

Diverse ragazze non risiedevano in paes; alcune abitavano in campagne, mentre altre venivano dalle frazioni o borghi circostanti.

C’era chi veniva da Rivola, da Baffadi, da Sant’Appollinare e non si muovevano certo in auto o in motorino. L’unico veicolo disponibile erano le gambe e, per quelle più lontane, la bicicletta. Alcune con il tempo cominciarono a servirsi della corriera,  ma solo dopo aver messo da parte un certo gruzzolo.

Chi non abitava in paese portava con sé  il pasto della pausa pranzo che poi consumava nei locali del laboratorio o nella  casa di qualche amica. Sembra che uno fra i “piatti” preferiti fosse la schiacciata con il tonno o con il formaggio.

Le “ragazze” ricordano poi con piacere anche alcuni momenti conviviali che le suore organizzavano, più importante fra tutti era quello annuale in occasione della festa di S.ta Dorotea, patrona dell’Istituto.

Nel “diario di bordo” del 1967 viene ricordato anche un “Santo Ritiro” in preparaziione delle S. Pasqua nella casa degli esericizi della Diocesi a Borgo Tossignano. Le ragazze erano accompagnate dall’Arciprete Don Giancarlo Menetti e l’uscita fu molto apprezzata, sia dalle ragazze che dall’Arciprete.

La gestione burocratica e sindacale di tutta l’attività risulta abbastanza complicata da seguire in quanto il susseguirsi delle ditte che fornivano le commesse si interseca con le modalità di assunzione e gestione del personale che a volte risultava direttamente dipendente dal Laboratorio S.ta Dorotea e a volte da laboratori intestati alle ditte conferenti. Per una parte delle lavoranti  le assunzioni  erano temporanee, magari con brevi intervalli semestrali. Ciò che più interessa è il fatto che, in un modo o nell’altro, il lavoro sia stato sostanzialmente assicurato a molte  continuamente per diversi anni.

Dal diario dell’Istituto emergono l’intensa attività ed i numerosi viaggi intrapresi  dalla Madre Superiora, da Suor Laura,  Suor Osanna e Suor Renza a Milano, Bologna, Firenze , Imola, Forlì e a Venezia , sia per incontrare e stabilire contatti e contratti con le ditte fornitrici di commesse, sia per discutere con la Madre Generale e Provinciale sull’andamento dell’attività.

Nel 1971 furono avviati alcuni confronti con i  rappresentanti dei sindacati per verificare l’inquadramento delle operaie. Al termine di queste consultazioni e verifiche, tenuto conto anche di una temporanea flessione delle commesse, fu consigliato alle ragazze il licenziamento dal laboratorio di maglieria intestatoo all’Istituto S.ta Dorotea e la costituzione di una cooperativa assieme alle ragazze delle confezioni di biancheria.

Alcune operaie scelsero di diventare lavoranti a domicilo, pur continuando ad utilizzare i laboratori dell’Istituto ed oltre a ciò si formarono anche  veri e propri piccoli  gruppi che lavoravano in casa con macchine fornite dall’Istituto o dalle ditte commisionanti.

Viene anche riferito di un “Consorzio Artigiane” di quattro ragazze con a capo Suor Lucamaria per i lavori di maglieria. Per la maglieria fino agli ’80 furono molto importanti le commesse della ditta Polacchini Marilena (consorte del casolano di origine Luciano Pomi).

Agli inizi del 1980 un locale dei laboratori risulta dato in affitto alla ditta “Laura” che vi impiega 5 donne tutte maritate.

Fino al 1982, pur senza riferimenti particolari, il diario continua a riportare note  di viaggi e contatti delle suore per ragioni di lavoro. Presumiamo che l’esperienza dei laboratori in un modo o nell’altro, sempre più sfumatamente sia durata fino a questa data.

Siamo così giunti al termine della nostra ricerca che ha comportato l’intervista di diverse “ragazze” di allora che volentieri, e spesso in maniera entusiasta, hanno rispolverato i ricordi della loro gioventù e di una esperienza lavorativa e professionale che hanno vissuto intensamente e con personale soddisfazione. Prova ne sia che quando abbiamo loro proposto una foto di gruppo per l’articolo del nostro giornale hanno risposte in molte (fra quelle reperibili in paese), con grande entusiasmo.

Noi da parte nostra siamo soddisfatti di  aver rispolverato una storia importante del nostro recente passato e di averla riproposta alla memoria della nostra comunità, ed in particolare all’attenzione delle nuove generazioni  che magari di questi fatti non ne hanno mai sentito parlare.

In passato abbiamo vissuto momenti a volte duri, tuttavia interessanti ed a loro modo felici che hanno segnato il nostro riscatto dalla povertà e dall’inerzia ed almeno, sul piano dell’arretratezza economica, un deciso passo in avanti.

 Il racconto entusiasta di una delle “ragazze” intervistate, che ci ha narrato il meraviglioso momento in cui,  per la prima volta, si  vide consegnare il primo compenso di tre bigliettoni di  diecimila lire di allora,  racchiude in modo  esemplere il valore ed il senso di quanto abbiamo raccontato.

Ringraziamo in particolare per la collaborazione: Sandra, Talina, Pina, Irma, Ida , Ermanna, Carla e, con speciale affetto, Giordana che ha voluto aderire alla nostra ricerca con un contributo speciale consegnandoci un breve scritto rievocativo, molto toccante e commovente, che riportiamo qui di seguito.

Alessandro Righini