INCENDIO di MONTE BATTAGLIA, considerazioni a freddo

Sulla stampa è stato chiamato incendio di monte Battaglia ma in realtà si è sviluppato più precisamente a monte della strada che da San Rufillo porta al passo del Corso fra Istiano di sotto a sud toccando a nord la Badarella per estendersi fino al crinale che le fiamme hanno scavallato in qualche punto seppur per poche decine di metri.
E stato l’evento clou dell’estate casolana tanto da tenere per più di una settimana le prime pagine della stampa locale arrivando anche ai TG regionali. Di origine dolosa e diffuso su poco più di una decina di ettari l’incendio ha interessato una superficie boscata coperta principalmente da una pineta molto degradata.
Proprio le resinose, soprattutto pino nero ( Pinus nigra) , hanno alimentato le fiamme che si sono sviluppate sul fianco a levante della dorsale di monte Battaglia interessando marginalmente anche porzioni di macchia a caducifoglie: querce ( Quercus pubescens) carpini ( Ostrya carpinifolia) ornielli ( Fraxinus ornus) nonché arbusti del sottobosco.
Il danno economico e ambientale è stato esiguo per lo scarso valore di quel tipo di bosco mentre l’unico aspetto problematico resta quello idrogeologico. In alcuni punti, soprattutto nelle scarpate sotto la strada di crinale, è venuta a mancare la funzione di copertura dalle precipitazioni e di ancoraggio delle radici su pendii che restano così molto esposti all’erosione. Resta anche la ferita sul paesaggio e ci vorrà un po’ di tempo perché il verde cancelli la tonalità ruggine delle chiome bruciate e il nero del suolo.
La grande distesa di mezzi e uomini impiegati nei diversi giorni occorsi per lo spegnimento totale dell’incendio dall’aereo, all’elicottero, alla grande pala meccanica fatta giungere da lontano passando per le decine di uomini che sono intervenuti, ci hanno reso un’immagine di potenza e di efficienza del sistema di protezione dagli incendi quando scoccano per le più diverse ragioni. A detta di qualcuno uno spiegamento forse eccessivo e molto dispendioso, ma, aggiungo, sicuramente efficace.
Ci siamo anche resi conto di quante potenziali micce abbiamo sul nostro territorio comunale.
Mi riferisco alle pinete che coprono le pendici di quasi tutte le nostre colline. Sono l’esito di interventi di imboschimento alcuni dei quali risalenti al ventennio, la maggior parte effettuati nel dopoguerra con i cantieri forestali promossi dalla Regione. A distanza di quasi cinquant’anni dagli interventi più recenti che risalgono alla metà degli anni settanta ci rendiamo conto che la scelta di piantumare resinose affatto vocate per i nostri ambienti e i nostri climi ci ha lasciato in eredità un patrimonio boschivo in parte fragile e soprattutto molto vulnerabile.
Non parlo soltanto degli incendi. Chi ha percorso la strada di Monte Battaglia prima delle fiamme avrà avuto modo di notare il disastroso stato della pineta. Tronchi abbattuti con cataste al suolo consistenti, pini cimati di netto e lì bloccati nella crescita poichè tutte le specie del genere Pinus faticano parecchio a ricostituire la freccia e la chioma, alberi secchi in abbondanza. Le pinete di Roncosole e di Monte dei Pini sono ancora parzialmente in questo stato.
Alla scarsa vocazionalità di queste resinose si aggiungono gli effetti negativi dei mutamenti climatici.
Le nevicate e i venti quando avvengono fuori stagione le prime e soffiano con grande intensità i secondi mettono in crisi la statica di queste piante che si rovesciano una addosso all’altra in un catastrofico effetto domino.
Come prevenire allora il rischio di incendio boschivo di queste pinete ereditate da una mentalità che privilegiava le essenze nobili fra le conifere e che ora invece ci accorgiamo come siano pericolosi inneschi?
Il tema è stato toccato dalle associazioni degli agricoltori che si propongono come interlocutori per la manutenzione di queste superfici così estese. Occorre che l’ente pubblico si renda consapevole che serve un programma di taglio selettivo, di esbosco di parte della massa già a terra, di diradamento su quegli appezzamenti dove vennero erroneamente piantati troppo fitti i pini e gli abeti insomma di tutte quelle misure che occorrono per mettere in sicurezza il territorio. Gli agricoltori ci sono ma vanno aiutati perché parliamo di attività onerose e che rendono poco in termini di ricavi. Purtroppo il vizio nel nostro paese resta quello di intervenire non nella prevenzione ma a posteriori per rimediare a quei danni nella gestione del territorio che con spese molto ma molto minori si sarebbero potuti evitare.

Roberto Rinaldi Ceroni