Il lago di Casola, breve omaggio a Giuseppe Scarabelli nel bicentenario della nascita

Giuseppe Scarabelli è stato un illustre scienziato imolese noto per i suoi studi di geologia e considerato il padre dell’archeologia stratigrafica, disciplina che praticò in importanti scavi fra cui,  per la nostra valle, ricordiamo quelli della grotta di Re Tiberio. Tante cose ci sarebbero da raccontare di lui anche come uomo politico: partecipò alle lotte risorgimentali, fu il  primo sindaco della città di Imola dopo la proclamazione del  regno d’Italia, poi senatore del regno e grande benefattore.

In questa pagina vogliamo rammentare la vicenda dell’antico lago che si dice esistesse nella nostra valle chiuso a nord dalla vena del gesso e che a sud arrivava fin nei pressi del nostro paese. Credo che molti di noi con i capelli bianchi in testa l’abbiano sentito ricordare.  Da piccolo me lo narravano a scuola e il racconto passando di bocca in bocca, come capita sempre nelle piccole comunità, era arricchito da ciascuno in dettagli personalizzati come il fatto che fossero i monaci benedettini a liberare la valle dalle acque per coltivare i suoi fertili fondali prosciugati.

Nel giugno del 1847 Scarabelli scrive un articolo scientifico a proposito di questo lago  che verrà poi pubblicato in francese nel bollettino della società geologica di Francia del 1851.  “ Il capoluogo di questo tratto di valle è Casola Valsenio, grosso borgo di circa 1100 abitanti. E’ fra questi che è diffusa la tradizione che un tempo qui vi fosse un lago le cui acque coprivano l’alta piana che da lì corre fino a Rivola. Questo lago era alimentato dalle acque del Senio, fiume che corre tuttora ai piedi del paese e che avrebbe incontrato una barriera insormontabile negli alti strati di gesso. Tali acque così trattenute avrebbero riempito il bacino il cui fondale pressoché orizzontale presenta ancora un’estensione di 6 chilometri circa. Aggiungono poi i paesani che furono gli etruschi a tagliare la montagna dando così lo sfogo a questa enorme massa d’acqua”.

Con le nostre attuali conoscenze chimiche oggi sappiamo che il lago non è mai esistito perché il gesso è una roccia che solubilizza facilmente tanto che il nostro parco della vena è ricchissimo di grotte e di fenomeni carsici di ogni tipo molto frequentati dagli speleologi. E’ però intrigante il fatto che i nostri antenati si tramandassero questa storia del lago. Non abbiamo elementi per suffragare alcuna ipotesi. L’unica circolata ha base linguistica ed è stata avanzata dal prof. Padovani. La valle del Senio fu il confine in cui si combattè la lunga guerra fra i Longobardi che scendevano da Ovest e i Bizantini che strenuamente difendevano gli ultimi lembi del loro territorio fino alla caduta di Ravenna agli inizi dell’ottavo secolo. C’è una parola in greco bizantino che ricorda quella italiana di lago e che in quell’antica lingua significava accampamento di truppe. Molto probabile che a ridosso del fronte venissero eretti accampamenti di soldati ma è una suggestione linguistica non supportata da ritrovamenti archeologici né da altre fonti storiche.

Anche se l’ipotesi dell’esistenza del lago non ha avuto seguito l’articolo di Scarabelli dà comunque una lettura geologica della nostra valle molto approfondita. Interessante è la descrizione del nostro paese: “ Casola Valsenio è situata sulla riva sinistra del Senio ai bordi di una brusca scarpata che si innalza fino a 35 metri sul livello del fiume in una gola aperta nel mezzo di strati di rocce sedimentarie clastiche. La località è veramente pittoresca ma le costruzione sul lato sud del borgo sono in una posizione molto pericolosa a causa delle frane che potrebbero sopravvenire da un istante all’altro”.

Si tratta, come avrete capito, della zona del muraglione oggi protetta dal dissesto da un’opera di consolidamento di tutta la scarpata che parte da poco dopo il Suffragio fino alla piazza della Chiesa e che allora non esisteva. Il Senio erodeva un po’ alla volta la base del terrazzo fluviale su cui è costruito il paese. Di fenomeni di franamento in quella zona ne abbiamo documentazione nell’archivio dell’Opera Pia già dalla seconda metà del settecento. Nel gennaio del 1889 accadrà poi la famosa frana “dei Pavarotti” descritta anche da Alfredo Oriani con intere famiglie che abitavano nelle case sulla destra del ponte della Soglia spazzate via dalla furia dello smottamento e che costò la vita a 20 persone. Un altro crollo avvenne all’inizio del secolo scorso quando alcune case prospicienti il muraglione vennero travolte da una frana.

Roberto Rinaldi Ceroni