AQUAE NOSTER intervista a Riccardo Brusa
Conosco abbastanza bene Riccardo Brusa perché è stato un mio studente all’istituto agrario Scarabelli. L’ho preparato per la maturità che ha affrontato e superato brillantemente. Poi ci siamo un po’ persi di vista. L’altro giorno esco a fare la spesa e me lo trovo davanti laureato di fresco. Scambiamo un po’ di chiacchiere e in pochi minuti mi rendo conto che mi sta capitando di nuovo una situazione in cui già mi sono trovato parecchie altre volte. E cioè che un mio studente ha preso il volo, ha intrapreso la sua strada e quando ci si incontra è lui che insegna a me cose nuove. Ho quindi pensato di approfondire con un intervista gli spunti che Riccardo mi ha accennato a voce e di condividerli con i lettori dello Spekkietto: dopo la laurea Riccardo continua a occuparsi di ecosistemi acquatici fra tutti quelli più in crisi a causa dei mutamenti climatici.
1) Raccontaci il tuo percorso di studio e come mai ti sei indirizzato verso una facoltà sicuramente anomala nel panorama consuetudinario delle scelte degli studenti casolani.
Terminato il mio percorso di studi presso l’istituto tecnico Agrario Giuseppe Scarabelli di Imola, devo dire che non avevo ben chiaro cosa fare all’Università. La mia prima idea era quella di continuare gli studi in ambito agrario, ma ad essere onesti non sapevo bene dove orientarmi. L’Università di Bologna offre tantissime opportunità di studio, soprattutto in agraria (forse troppe a volte). Ero davvero molto indeciso tra più di un percorso di studio.
Un giorno di luglio, un po’ per caso, ho conosciuto il gruppo di ricerca dell’Università di Bologna del dipartimento di scienze mediche veterinarie che si occupavano di acquacoltura. Tra tante mie domande e curiosità, essendo io appassionato al mondo acquatico, ho scoperto che l’Università di Bologna offre anche un corso di studi in questo settore. Ed è così che ho preso la palla al balzo e mi sono iscritto ad Acquacoltura ed igiene delle produzioni ittiche (dipartimento di Veterinaria).
L’acquacoltura è l’allevamento di pesce, crostacei e molluschi. È l’unico settore zootecnico in crescita anno dopo anno, basti pensare a quanto pesce consumiamo a livello pro capite: in Italia siamo circa sui 28 Kg a persona.
Il corso di laurea in acquacoltura offre tante possibilità ed è estremamente vario nelle sue materie. Oltre agli argomenti di acquacoltura “classica”, ci sono corsi di ecotossicologia, biologia degli squali, biologia dei cetacei e delle tartarughe marine (siamo stati a Valencia all’Oceanogràfic), legislazione veterinaria, etnografia, sistemi innovativi in acquacoltura, molluschicoltura, ittiopatologia, parassitologia, farmacologia, anatomia e davvero tanti altri.
2) Ora che hai terminato il corso di laurea di cosa ti occupi?
Ho concluso il mio percorso di studi il marzo scorso. Adesso collaboro con l’Università di Acquacoltura come laureato frequentatore. In questo momento ci stiamo occupando di un progetto Life (progetti finanziati dalla Comunità Europea) sull’ anguilla (Anguilla anguilla) nel nord dell’Adriatico.
L’obiettivo del progetto è quello di arrivare a sviluppare un protocollo per riprodurre e successivamente svezzare le larve di anguilla.
È un pesce che ad oggi non si riesce a riprodurre in cattività o meglio, il gruppo di ricerche dell’Università di Acquacoltura è tra i pochi al mondo ad essere in grado di riprodurre le anguille in cattività e ottenere milioni di larve, ma non è stata ancora superata la fase del loro svezzamento. Sta qui la grande sfida di questo progetto.
Successivamente ci occuperemo di altri progetti Life sulla lasca (Protochondrostoma genei) e su due specie di storione (Acipenser naccarii e Huso huso). Tutte e tre le specie sono inserite dall’ “Unione Internazionale per la Conservazione della Natura”, in lista rossa. Ciò significa che le popolazioni di queste specie sono diminuite almeno del 90% negli ultimi vent’anni ed attualmente sono specie estinte o a forte rischio d’estinzione.
3) Parliamo di argomenti del nostro territorio. Il nostro fiume, meglio sarebbe definirlo torrente, soffre le anomalie delle precipitazioni con regimi idrici spesso al limite della sostenibilità del suo ecosistema.
Quali sono secondo te le criticità dal punto di vista della zoocenosi cioè dell’insieme degli organismi animali?
E’ vero: tutti i corsi idrici sul nostro territorio sono torrenti quindi subiscono grosse variazioni nella portata d’acqua durante tutto l’anno; basti semplicemente guardare il Torrente Senio adesso rispetto a un mese fa: la differenza è facilmente visibile.
È abbastanza evidente che i torrenti più importanti che abbiamo sul nostro territorio come appunto il Senio e i suoi tributari: Cestina, Sintria e Castagno sono estremamente dipendenti dalle precipitazioni che avvengono durante tutto l’anno. Un’ idea che mi sono fatto frequentandoli è che ci sono due momenti importanti per la salvaguardia del loro regime idrico: uno di questi momenti è a fine gennaio/febbraio per quantità di neve caduta (sperando che ci sia), mentre il secondo momento è il periodo che va da metà maggio a metà giugno. Ho notato che se in questi due periodi dell’anno abbiamo buone precipitazioni, difficilmente avremo problemi per quanto riguarda il deflusso minimo vitale nel periodo più critico dell’anno rappresentato dall’estate.
Per quanto riguarda la zoocenosi, l’acqua è indispensabile. Non parlo solo di pesci o animali acquatici, ma di tutti gli animali che vivono sul nostro territorio che insieme formano un unico ecosistema. Anni siccitosi come è accaduto in passato, hanno influito negativamente non solo sulla fauna ittica, ma su tutti gli animali andando ad influire su molti fattori come la riproduzione, crescita e la migrazioni.
Se il nostro medico ci dice di bere molto nel periodo estivo altrimenti il nostro organismo ne risente, per gli animali è la stessa identica cosa. Per questo l’acqua è un bene così importante per tutti.
4) Chi si affaccia sul Senio, anche a monte fin verso Palazzuolo, di frequente incontra l’airone cenerino. Che ruolo gioca questo ardeide nel contenimento della popolazione ittica? E’ così dannoso per i pesci?
Per quanto possa essere l’airone un bellissimo uccello, non è originario di queste zone, bensì di ambienti di valle o fiumi più grandi in pianura.
Ormai nelle nostre zone è veramente facile incontrarlo e questa non è una buona cosa per la fauna ittica. L’airone cenerino ha un peso medio di 1,5 Kg e mediamente si nutre di 200-400 grammi di pesce e/o piccoli anfibi al giorno. È abbastanza intuibile l’impatto che possa avere sulla fauna ittica di un piccolo torrente come quelli presenti nelle nostre zone.
Mi è capitato diverse volte di trovare animali morti o con lesioni cutanee provocate dalla “beccata” di un airone in torrenti come il Cestina in zone veramente impervie. Il grosso problema l’airone lo causa proprio in piccoli torrenti come i nostri, dove le popolazioni di trote fario (Salmo trutta fario) sono facilmente predabili.
Altro uccello ittiofago estremamente dannoso che si sta affacciando nella Valle del Senio è il cormorano. Probabilmente se non verranno presi provvedimenti tra qualche anno ci potranno essere seri problemi per la fauna ittica locale, essendo questo uccello ittiofago capace di formare in poco tempo colonie anche di centinai di esemplari (razione giornaliera di circa 280 grammi di pesce). Una colonia di circa 15 esemplari è presente nel lago formatosi in seguito alla frana del campo sportivo di Casola Valsenio.
5) Anche la crescita del Siluro è un fattore che danneggia i pesci di cui è un attivo predatore. Hai notizie che stia risalendo il nostro fiume?
Fortunatamente il pesce Siluro (Silurus glanis) non è presente nelle acque del torrente Senio per lo meno nella zona di Casola Valsenio. So di alcune catture sotto Riolo Terme soprattutto dove le acque non sono più a carattere torrentizio. È documentata la sua presenza lungo tutto il fiume Reno quindi alcuni esemplari saranno risaliti lungo l’asta fluviale del Senio.
A meno di immissioni da parte dell’uomo mi viene da dire che il siluro non possa raggiungere le “nostre acque” autonomamente. Le piccole cascate artificiali e i salti d’acqua ne impediscono la diffusione lungo il Senio.
È un pesce non originario delle nostre acque, introdotto si pensa negli anni 70’ per pesca sportiva (prima cattura in Italia avvenuta in Adige nel 1976). È un pesce estremamente vorace; in letteratura viene riportato un fabbisogno giornaliero per i giovani siluri pari al 10% del proprio peso corporeo, mentre per gli adulti è riportato il 2-3%. È un pesce che può raggiungere i 70-80 Kg molto facilmente, l’impatto che ha sulla fauna acquatica è incalcolabile.
6) Ci pare che le anguille si siano già da tempo parecchio ridotte nel nostro fiume. Che notizie hai?
L’anguilla (Anguilla anguilla) come detto precedentemente è una specie a forte rischio d’estinzione.
È un pesce migratore catadromo, cioè significa che si riproduce in mare, risale i fiumi dove trascorre circa una decina d’anni prima di raggiungere la maturazione sessuale per poi migrare di nuovo verso il mare per riprodursi.
Le nostre acque sarebbero a mio avviso anche idonee per il suo accrescimento. Il problema però è a valle: pesca sportiva, predatori come il siluro, uccelli ittiofagi sbarramenti lungo i fiumi ne impediscono la risalita.
Ormai è veramente raro trovare esemplari di anguilla europea nei nostri torrenti. Quei pochi esemplari che sono ancora presenti nelle nostre acque si può dire che siano pesci che non migrano più e che resteranno qui per sempre.
Sono state fatte alcune immissioni di anguille nel fiume Senio e Cestina alcuni anni fa, ma purtroppo manca tutta la parte di documentazione nella fase di risalita e discesa al mare. Tanti quesiti come: quanti animali risalgono ?. Quanti ritornano al mare?. Quanti restano?. Sono tutte domande a cui non si può dare risposta.
Con l’Università di Acquacoltura abbiamo fatto centinaia di campionamenti in alcune valli in Emilia-Romagna e Veneto. La diversità riscontrata all’interno della stessa specie ma proveniente da popolazioni diverse è enorme. Pare che la maggior parte delle anguille non risalga neanche più i fiumi, preferendo ambienti ricchi di cibo come può essere la Valle di Comacchio.
Le anguille sono pesci che alla nascita non hanno sesso, ovvero non sono né maschi né femmine. Lo sviluppo delle gonadi maschili o femminili avviene in acqua dolce o salmastra in base alla densità di questa specie in acqua. Più le densità sono alte, più prevale lo sviluppo di gonadi maschili, viceversa con densità basse è più facile lo sviluppo di gonadi femminili. Tutto questo per dire che il calo drastico della popolazione di anguille ha portato a densità bassissime in valle e nei fiumi portando così a una rarità il ritrovamento di esemplari maschi ed a una crescita esponenziale degli individui a sesso femminile.
È veramente un animale sensibile e quasi sconosciuto, il mio consiglio è di rispettare al massimo questi animali, soprattutto se dovessero essere catturati nelle nostre acque.
Ci tengo a dire come ultima cosa che le nostre acque godono di buona salute. Abbiamo una biodiversità ittica importante di specie autoctone; sono presenti Lasca (Chondrotoma genei), Cobite comune (Cobitis taenia bilineata), trota fario (Salmo trutta fario), cavedano (Squalius cephalus), Barbo canino (Barbus caninus), Barbo italico (Barbus plebejus), Vairone (Leuciscus souffia muticellus), Tinca (Tinca tinca) e Carpa (Ciprinius carpio).
Tutto questo è possibile grazie al rispetto che c’è nei confronti delle nostre acque da parte delle persone, ma soprattutto grazie alla Provincia di Ravenna, che ogni anno organizza anche con l’aiuto di tanti volontari delle importanti azioni di ripopolamento con immissioni di esemplari sia adulti che avannotti di carpe, barbi, cavedani e trote.
Intervista a cura di Roberto Rinaldi Ceroni