Contrastare FRANE
Le macchine avanzano lentamente tra la polvere di quello che resta. Il mio sguardo cade sui frigoriferi, sulle lavatrici e sugli oggetti degli altri.
Mi vergogno a sbirciare tra quelle cose senza più anima, come fossi entrata in una casa senza aver chiesto il permesso, violando l’intimità altrui. Eppure non posso fare a meno di continuare ad osservare e di chiedermi in quale stanza fosse appeso quel quadro o se su quel tappeto, durante una cena, sia mai caduto del vino rosso difficile da togliere via.
Poco importa ora, è tardi.
Il quadro e il tappeto se ne stanno inermi, sul marciapiede, coperti di fango.
C’è un prima e un dopo il sedici maggio.
E il dopo è lì, davanti a me, nelle cataste di roba informe, nella terra che si è ribellata, nelle crepe sulle pareti, nei fiumi che hanno cambiato corso e nelle strade tagliate a metà.
Il dopo sono anche quei ragazzi che, oggi, non ho il coraggio di guardare negli occhi.
I miei ragazzi a cui, per un’altra volta ancora, è stato tolto tanto.
In questi anni li ho visti fare colazione dietro ai monitor del computer con lo sguardo ancora stropicciato; li ho visti entrare in aula con le mascherine e sedersi nei banchi distanziati, tenuti in posizione dalle bande adesive gialle e nere. Li ho visti rubare il disinfettante dalla cattedra e spargerlo sulla sedia del malcapitato di turno che si era alzato per andare in bagno.
Sono loro: la generazioneZ, quelli della musica trap, delle parole come bro, crush, cringe, boomer, cash, maranza, chill; quelli delle AirJordan, in fissa con le firme e che – fino a ieri – erano sporchi di fango. Con il badile in mano e i denti stretti hanno aiutato famiglie, amici, parenti e in molti hanno visto la propria casa sommersa, prima dall’acqua e poi dal fango.
Ecco perché stamattina ho ancora più timore di sbagliare le parole e la cattedra mi starà stretta: non era questo il futuro che gli avevamo promesso.
In questi giorni ho pensato molto a mio nonno: nato su un terreno inquieto e ribelle, ha dedicato la vita a contrastare frane.
Forse è quello che dovrò imparare anch’io: ripristinare gli argini per contenere il tumulto di quelle loro paure, che sono anche mie.
Oggi, nel varco aperto tra gli oggetti ammassati, ho visto un bambino. Camminava incurante delle macerie. Aveva un cappellino blu e trascinava uno zaino dello stesso colore.
Se il domani ha una forma, non può essere che questa.
Così, respiro, mi faccio coraggio ed entro in classe.
Cecilia Sabbatani