QUARTO STATO: Sorridere a prescindere
Nel mese di maggio è uscito, oserei dire finalmente, il disco del QuartoStato. Il titolo è “Sorridere a prescindere”. L’impressione generale che ho ricavato dall’ascolto e dall’osservazione del lavoro è che si tratti di un’opera collettiva. Sarà la copertina che riprende l’idea del collage di fotografie, saranno i lunghi ringraziamenti ma la sensazione è che la band abbia sì una sua identità formata dai suoi componenti, ma che viva della presenza delle molte persone che le ruotano intorno, in particolare di un pubblico affezionato. Forte della mia idea ho deciso di procedere con un’intervista un po’ insolita rispetto allo standard della classica intervista ad una band. Farò un po’ di domande a tutte quelle persone che rientrano nel progetto “Sorridere a prescindere”, partendo ovviamente da alcuni membri della band per arrivare ad altri collaboratori.
La band. Ci raccontate come è nato il disco? So che avete deciso di non avere fretta. Le canzoni erano pronte ma avete preso il tempo necessario per registrare?
La tua impressione è esatta. Il disco è nato in sala prove, ma ha preso forma e struttura solo con l’entusiasmo e la collaborazione di persone straordinarie: partendo dal nostro pubblico, dai nostri amori e dalle nostre famiglie che da subito ci hanno sostenuto e nel tempo hanno fatto crescere la fiducia in noi stessi, tanto da far nascere la voglia di creare un progetto vero. Un disco come una fotografia di questi due anni splendidi, fatti di duro lavoro, grande condivisione e bellissime soddisfazioni. Continuando poi con tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione materiale del progetto: il nostro mentore Paride Ridolfi e la Clips Rag & Rock di Riolo Terme, La Compagnia per non perire d’Inedia di Marradi, Viola Vitartali, Nicola Pozzi, La Comunità di Sasso, l’Associazione Gus di Marradi, Monia Visani e la Radici Music Records. Non finiremo mai di ringraziarli. Il tempo che abbiamo impiegato per incidere è stato quello che serviva per farci crescere e per farci capire che un disco è una cosa seria, cosa che in un primo momento avevamo sottovalutato.
Che cosa significa per un gruppo di ragazzi con la passione per la musica arrivare ad incidere un album vero e proprio?
Fare un album, trovarsi tra le mani il proprio disco e metterlo in bella mostra con gli altri sulla mensola di casa è un sogno che si realizza. Per un gruppo credo sia il consolidamento delle fondamenta, un punto di arrivo e di partenza, una tappa fondamentale raggiungibile solo dopo aver trovato un grande equilibrio tra i componenti. Il nostro obbiettivo era quello di rendere indelebile un’idea, tramite carta, plastica e sudore, cercando di proteggerla dai cambiamenti e riuscire così a non dimenticarla.
Nei nostri tempi il supporto fisico del CD sembra aver perso un po’ di significato. La maggior parte della musica si ascolta in streaming o si scarica. Ha un senso ancora pubblicare un disco nel senso più classico del termine?
La scelta di fare il cd è stata presa più col cuore che col cervello. Sicuramente il mercato musicale è cambiato moltissimo e le nuove piattaforme digitali offrono grandi opportunità agli artisti emergenti. Questo è indiscutibile, ma noi pensiamo che tutto ciò non debba escludere il formato CD. Solo con il disco il rapporto può diventare più “intimo”, senza interruzioni di messaggi in arrivo, notifiche o spot pubblicitari tra una canzone e l’altra. Abbiamo fatto un disco per chi ci vorrà ascoltare in santa pace, ecco. Abbiamo anche cercato di curare il più possibile l’aspetto del CD facendo attenzione anche alla scelta dei materiali così da dare un valore aggiunto rispetto al solo ascolto da Pc o telefono. Ci stiamo comunque muovendo anche nel digitale e stiamo lavorando per capire questo cambiamento di rotta che la musica ha fatto. Abbiamo girato due video, esperienza molto bella e da approfondire. Con la Radici Music Records abbiamo iniziato questo percorso e speriamo di continuare con la stessa energia.
Musicalmente parlando il disco ha un suo suono, molto essenziale. Quali idee avevate in mente?
Essenziali sono i testi e la nostra idea di semplicità. Ci siamo resi conto che l’essenziale era lo spazio dove potevamo muoverci meglio, dove potevamo fare un buon lavoro senza strafare, senza esagerare. Essenziale è lo spazio dove stanno i nostri concetti, cioè tra il quotidiano ed il cuore, quindi non potevamo snaturare troppo l’idea di base che è quella di apprezzare le piccole cose.
Fabio Tondini (Voce e chitarra acustica). Essendo il cantante e l’autore delle canzoni sei anche il più esposto. Ho rintracciato alcune tematiche all’interno delle canzoni che compongono. Una frattura tra un mondo semplice e più vero, associato spesso alla campagna, e un mondo pieno di contraddizioni e quasi totalmente negativo, associato questa volta alla città. Sbaglio?
Non sbagli, ma non è del tutto corretto. La campagna e la città non sono solo dei luoghi, per me sono la descrizione di due modi di essere. A mio parere esistono cittadini stressati a Palazzuolo e selvatici montanari nel centro di Bologna. Il fatto è che stiamo perdendo la stagionalità della vita, il ritmo che regola il mondo. Oggi siamo più moderni, puliti, connessi con una società sempre in movimento, ma non sappiamo più cosa sia l’inverno: non vogliamo più fermarci, riposarci, non accettiamo più di diventare vecchi. Non giudico assolutamente la città, mi colpiscono solo le sue esasperazioni, le sue esagerazioni. Poi sono spudoratamente pro campagna e ascoltando la prima canzone del disco lo si intuisce bene. Non me ne vergogno.
Le canzoni si rifanno alla migliore tradizione cantautorale italiana, tra tutti De Andrè e Guccini però sono riconoscibili tracce di quella scena che vedeva Bandabardò e Modena City Ramblers tra i suoi esponenti. Chi sono i tuoi punti di riferimento?
Le prime due audiocassette che ho posseduto, quando ancora esisteva il walkman, erano un Best dei Queen e De Andrè in concerto con la PFM. Ascoltai quelle cassette a ripetizione per mesi interi, fu amore al primo ascolto. Con i Queen era tutta energia, credevo fossero abitanti della luna, quelle canzoni mi rapivano senza sapere il perché. Con De Andrè feci proprio come un anatroccolo che appena rotto il guscio vede la madre: ebbi l’imprinting. Non musicale, quello arrivò molto tempo dopo. Con De Andrè ho formato la mia sensibilità, la mia idea politica e sociale, il mio punto di vista, ed ancora adesso quando lo ascolto, lo sento più vicino che mai a questo mondo. Perciò non lo considero un riferimento ma un’istituzione, un insegnamento costante. Il resto è venuto da sé, ascolto musica di tanti generi, tutti i giorni e le emozioni che provo sono il riferimento più importante. Nella musica Folk e cantautorale ho trovato la mia dimensione. All’inizio di questa esperienza, Guccini, I Modena, la Bandabardò e tutti quei gruppi che hanno caratterizzato la scena Rock-Folk-indie della musica italiana, tutti loro, mi hanno fatto conoscere la bellezza del cantare la nostra terra e la nostra storia. Poi, piano piano, ho solo cercato di dare il mio punto di vista.
Ti pongo una domanda molto personale. La pubblicazione di un album è un punto di arrivo importante, ma forse potrebbe essere un punto di partenza. Cosa passa per la testa nel momento in cui si realizza un sogno?
Se devo essere sincero non so rispondere a questa domanda. Penso al presente in questo momento. Il fatto di aver pubblicato un album non pregiudica che non si possa migliorarlo nel live, così da valorizzarlo al meglio. Penso che i margini di miglioramento ci siano e solo restando sul “pezzo”, continuando a scrivere, suonare ed a lavorare insieme si possa costruire un nuovo punto di partenza. Sono soddisfatto e non vedo l’ora di poterne incidere un altro. Realizzare un disco è stato un sogno che si è avverato e la sensazione è molto bella. Ora me la godo, poi ci penseremo. L’importante è non fermarsi, non mollare ed essere felici di farlo. Il futuro verrà da sé.
Come nascono le tue canzoni?
I testi nascono un po’ da tutto credo e per quanto mi riguarda ogni cosa può avere un motivo per essere cantata. L’importante è mantenere il proprio punto di vista, e non è sempre facile, perché siamo influenzati dal mondo esteriore, dalle mode, dai propri punti di riferimento, dall’opinione degli altri e dall’insicurezza. Il cantautore bravo, è quello che riesce a fuoriuscire da tutti i contesti per far emergere la propria opinione. E’ quello che non pretende di piacere, ma pretende da se stesso il massimo impegno per spiegare nel modo migliore quello che sente agli altri. E poi la sincerità, i testi non possono nascere belli nella menzogna: quello che scrivi lo devi sentire vero, anche se magari si discosta dalla realtà che vivi. Scrivo da tanto, o meglio, è tanto che tento di scrivere qualcosa che mi rappresenta, qualcosa in cui possa rivedermi. Il percorso è stato difficile e vano fino a quando non mi sono reso conto che dovevo cambiare, che dovevo guardarmi dentro, accettarmi e scrivere quello che vedevo senza dovermi preoccupare del giudizio o del risultato. Poi mi sono allenato tanto e piano piano ha cominciato a prendere forma, nei miei testi, la mia vita: quello che mi sta intorno e quello a cui tengo. Adesso scrivere è quasi terapeutico, mi fa sentire bene e spero di poterlo fare per tanto.. poi viene la canzone, e quello per me è ancora una magia, non so spiegarlo. Alle volte è un giro di accordi, alle volte è un fischiettio, alle volte per errore. Vengono così. Non l’ho ancora capito.
Nicola Pozzi (curatore del progetto grafico). Quando ho preso in mano il CD ho avuto la sensazione che si trattasse di un progetto fatto con cura, con un’idea propria. Quale è l’idea, il concept, alla base del lavoro grafico?
Tutto parte con un collage di fotografie in bianco e nero, semplice, una serie di volti del progetto, una sorte di ringraziamento, accostati ed allineati, precisi.
La partenza è buona, niente di sconvolgente.
La seconda fase è quella di rimettere in gioco tutto, il titolo è forte, le tracce ottime, il progetto grafico lo deve essere allo stesso modo, mi dico.
Tre i messaggi che deve contenere la copertina, concordati con tutto il gruppo: sorridere, un ringraziamento e divertiamoci.
Nasce così un progetto “semi analogico”, tre sessioni fotografiche con la stessa impostazione, il sorriso rubato deve essere il protagonista e un semplice sfondo bianco.
Manca ancora qualcosa.
Ecco entrare in gioco il colore, “a spirito”.
Stampo le foto su carta comune le abbiamo distribuite ad amici, bimbi, donne, uomini, chiunque potesse impugnare un pennarello, l’unica regola del gioco è coloriamocie divertiamoci.
La ricetta prende forma, ci piace e le prime prove sono molto interessanti, tutto si condensa in: affidiamo il nostro sorriso, qualcuno lo colorerà.
E’ stato veramente stimolante strappare sorrisi e imprimere un istantanea, un momento.
Una delle parole chiave del disco è semplicità. Mi sembra che si adatti bene anche al lavoro che hai svolto?
La semplicità è sempre stato un punto fermo, sono convinto che rendere semplice concetti importanti sia sempre necessario ed è la parte più complessa e divertente di tutto, ti fa ruzzolare nel letto, svegliarti prima per annotarti un idea, mi fa molto piacere se sono riuscito a trasmetterlo.
Una piccola curiosità. Se guardo con attenzione il disco non riesco a capire chi sono i compenenti del gruppo. È voluto?
Non è voluto, la disposizione e la scelta delle fotografie è quasi casuale, abbiamo cercato di guardare più all’equilibrio dei colori e “al peso” più che alla disposizione, all’ordine o alla priorità.
L’istinto ha regnato in tutte le serate con birre e chiacchere.
Paride Ridolfi (Produttore)Grazie all’impiego di una strumentazione all’avanguardia e a software strepitosi, molti dischi di oggi sono iperprodotti e la mano del produttore è sempre più visibile. Voi avete agito nel senso opposto. Perchè?
Quando ascoltai e registrammo il singolo “La Campagna”, le potenzialità delle canzoni dei Quarto Stato mi apparvero da subito. La freschezza delle melodie, testi mai banali e la capacità di creare ritornelli che ti rimangono in testa, rendevano le composizioni di Fabio e soci qualcosa da valorizzare con cura. I Quarto Stato sanno bene quanto ho insistito sul fatto che i loro brani avrebbero meritato una produzione professionale e di alto livello, ma sin da subito loro sono apparsi convinti e irremovibili dall’idea di costruire il loro album attorno ad una produzione semplice, genuina e curata da una cerchia di amici. Nelle fasi di registrazione si è puntato veramente all’essenziale, difficilmente si sono superate la decina di tracce tra assoli e i rarissimi cori, di fatto presenti solo in un brano. Credo che la convinzione, condivisa da tutti i membri del gruppo, fosse che una produzione di alto livello avrebbe contaminato ed alterato la natura stessa delle canzoni che hanno il loro punto di forza nella pulizia di un folk cantautoriale d’altri tempi. Durante il missaggio dell’album abbiamo tentato di arricchire gli arrangiamenti e provato a riempire il suono tra effetti e armonizzazioni, per poi tornare sempre all’essenziale. Tra le cose che ricorderò di questa magnifica esperienza c’è l’espressione dei Quarto Stato ascoltando Canzone di Natale con un arrangiamento di organo Hammond o la cristallina E il tempo va da se contaminata da un tappeto di violoncello. Quelle tracce sono sparite in una manciata di secondi.
Non c’è dubbio che il gruppo trovi una sua forza nella dimensione live. Hai ragionato anche su questo aspetto?
Una registrazione consegna per sempre l’arte alla memoria e a volte mi interrogo su come sarebbe stato avere disponibili le registrazioni originali dei grandi maestri della musica classica del passato. Anche per i Quarto Stato la vera essenza si sprigiona come suggerisci tu nella loro dimensione live e, proprio per questo, il disco non poteva allontanarsi troppo dalle sonorità e dagli arrangiamenti che la band replica sul palco. Nel lavoro di registrazione e missaggio si è certamente tenuto conto di questo aspetto, non solo negli arrangiamenti, ma anche in alcune sonorità volutamente compresse e sporche che potessero avvicinare il lavoro in studio ad una registrazione live.
Spero che questa lungua intervista collettiva vi abbia fatto venire voglia di comprare e ascoltare l’album e se questo non si è verificato, beh, è solamente colpa mia (sigh!!).
Riccardo Albonetti