Da Monte della Vecchia
Quando Adelmo Ferrini nell’umida alba del 6 maggio 1939 aprì l’uscio di questa casa dove abito anch’io si accorse che il volto di Monte della Vecchia non era più quello che gli era familiare.
Un’enorme frana ne aveva graffiato il fianco verso il paese e una ripida e alta parete segnava il distacco della massa di terra, massi, sassi e tronchi divelti. La frana aveva travolto un castagneto, alberi, porzioni di campi, che a quel tempo si coltivavano tutti i fazzoletti di terra rubandoli al bosco, torcendo i filari delle piantate con la pressione della sua massa semiliquida.
Ottantaquattro anni dopo, a metà mattina del 17 maggio 2023, un’altra frana ha raddoppiato la parete verticale di Monte della Vecchia, ma come allora è scesa lambendo le case del Poggio e di Fontanella che sono rimaste illese. Questa volta si è accompagnata alle altre frane che hanno devastato la comunale rendendola impraticabile. Tuttora, mentre scrivo ed è sabato 27 maggio, siamo senza viabilità e senza acqua.
Solo ieri l’altro è stata ripristinata la corrente ed è un primo segnale di ritorno alla normalità che però sarà lento perché la devastazione della rete dell’acquedotto e della comunale che saliva a Sant’Andrea è davvero imponente. Anzi la strada bisognerà ridisegnarla perché in diversi tratti l’asfalto giace in fondo a canaloni profondi decine di metri. E non ho sufficiente fantasia per immaginare da dove potrà mai passare. Se infatti il movimento di terra scende da sopra la si sposta con un escavatore ma quando la carreggiata scompare verso il basso, dove vai a scavare se la parete rimasta è quasi verticale?
Quando penso ad Adelmo, che ebbi la fortuna di ospitare tanti anni fa e che mi raccontò l’evento, credo che gli ci volle molto meno per tornare alla normalità. La sua normalità non prevedeva la corrente elettrica che non sapeva neanche cos’era, l’acqua in casa non ce l’aveva e andava ad attingerla al pozzo condiviso con i vicini e si spostava solamente a piedi come facciamo ora anche noi che l’auto e la vespa giacciono sull’aia.
Alla fragilità geologica del territorio si è aggiunta quella delle reti tecnologiche.
Maggiore è la capacità di connessione maggiore è la fragilità delle infrastrutture che la sostengono.
Siamo rimasti quattro giorni senza possibilità di comunicare con qualcuno nemmeno col telefono.
Credo che entro domani i vigili del fuoco apriranno le frane ma solo per una viabilità di emergenza.
Adelmo caricava fieno a forcalate, i covoni di grano sul biroccio e se non arrivava la macchina lo trebbiava a mano sull’aia. Oggi fare agricoltura, che è far vivere le campagne di Casola e dare lavoro ai giovani che ci hanno investito e scommesso, vuol dire contare su una viabilità efficace capace di sostenere mezzi cento volte più pesanti di un biroccio. Ma ci vorranno tempo, energie e tanti soldi.
Riporto alcuni stralci dalla relazione sui danni provocati dalle piogge eccezionali del maggio 1939, scritta dai tecnici del consorzio di bonifica il 3 giugno del 1939. Colpiscono le tante, troppe analogie per la piovosità e nell’analisi geologica dei fenomeni. Fu un evento anche allora drammatico. In rapporto alle condizioni socio economiche di allora sicuramente con danni ben maggiori. Ma seppero risollevarsi.
“…in tutte le zone è avvenuta una piovosità massima, specialmente in quella media ( Modigliana, Casola Valsenio, Brisighella) dove in 5 giorni si è avuta una quantità di precipitazioni di quasi metà della media dei totali annui. Nei fondovalle le piene hanno in alcuni luoghi sormontato gli argini di presidio, in altri li hanno abbattuti e hanno invasi i campi rivieraschi ricoprendo le messi di uno strato di fanghiglia di cui le acque erano cariche. Ma i danni maggiori si riscontrano nelle falde, dovuti a frane e a scoscendimenti di ampie zone. … non vi è falda che non presenti fessurazioni di cedimenti avvenuti e non vi è pendice che non presenti scivolate di terreno spesso dall’apice al piede. Dove il terreno era più profondo e dove le condizioni stratigrafiche erano favorevoli al movimento, si sono formati distacchi di oltre trenta metri d’altezza e scorrimento di masse di oltre duecento metri di larghezza per 300 di lunghezza …. La viabilità sulle falde è ridotta in modo tale da non potersi prevedere entro quale periodo possa essere ricostituita, essendone addirittura stati asportati interi tronchi. Ciò è preoccupante per la mancanza di comunicazioni con vaste zone agricole e con borgate rurali e per il grave ostacolo che costituisce per la trebbiatura e il trasporto dei prodotti e concimi …. quasi tutti i fabbricati colonici posti sulle falde appena si è notata la fessurazione dei terreni, sono stati abbandonati. Purtroppo il movimento si è in diversi luoghi manifestato così repentino e imprevisto che alcuni fabbricati sono stati trascinati e inghiottiti senza dare il tempo di evacuare il bestiame.
Nella vallata del Senio si contano 5 case crollate, 20 fortemente lesionate e 50 evacuate..”
Roberto Rinaldi Ceroni