LA MIA VITA CON LE API
Una passione nata da bambino e riscoperta poi da adulto. Una passione che, con il tempo, è diventata quasi un secondo lavoro, e che ora porta avanti con dedizione e competenza. Dino Geminiani ci ha raccontato la sua esperienza di apicoltore illustrandoci il suo percorso, il quale non è stato sempre semplice e lineare, anzi. Ci sono stati momenti difficili e numerose sfide da affrontare – l’ultima a maggio dello scorso anno, quando il nostro paese è stato stravolto dalle frane.
“La mia passione per le api è nata quando ero un bambino… in quegli anni abitavamo a Monte Battaglia e mio babbo faceva degli alveari per alcune famiglie che avevano le api. Anche mio zio Mario Rinaldi, che abitava alla Canovaccia, aveva le api, e io mi meravigliavo sempre quando lo vedevo: lui era allergico e quando prendeva i becchi sembrava un mostro!
Poi sono cresciuto, ma questo interesse è rimasto. A volte quando ero nella mia bottega in via Storta arrivavano degli sciami sulle acacie e io vedevo le api lavorare… un giorno mi sono fatto prestare una cassetta da Gianfranco Bertozzi e Gianni Poletti – che all’epoca avevano le api – e da lì è cominciato tutto. Era il 1982.
In quel periodo è incominciata la storia della Varroa, un parassita che attacca le api. È stato davvero difficile. I miei due amici smisero e mi regalarono tutto. Io invece, con tutta la testardaggine che mi contraddistingue, ho continuato. Un anno ho dovuto comprare sia le api che il miele da mangiare, perché non riuscivo a curarle, non sapevo come fare, c’erano pochi strumenti per questo parassita. Sono riuscito a superare quel periodo, ma poi nel corso degli anni ci sono state altre difficoltà.
Quattro/cinque anni fa, ad esempio, mi sono morte tutte, non ne ho rimasta nemmeno una. Probabilmente non erano guarite bene dal parassita, il quale è portatore poi anche di altri virus, e nel lungo termine si sono indebolite e ammalate tutte. Quella primavera ho dovuto ricomprare quattro famiglie da un apicoltore di Forlì. Da lì sono ripartito e sono arrivato fino al mese di maggio dell’anno scorso.
Il 16 di maggio una frana ha colpito la mia casa. La terra si è sgretolata proprio nel punto in cui avevo posizionato le api. I dieci alveari che avevo sopra casa sono stati rovesciati sotto sopra e sono stati ricoperti di terra. Si sono schiacciate tutte. Avevo altre postazioni all’interno dell’azienda Badia di Susinana, ma a causa della frana dalle Case Bruciate non sono riuscito a raggiungere quelle api per un po’… fino a quando i Pompieri mi hanno fatto passare: è venuto a prendermi il mio amico Marino Fabbri dall’altra parte e io sono riuscito a controllarle.
La stagione in generale è andata male, perché a causa di tutta quella pioggia non erano riuscite a raccogliere l’acacia… è stato difficile quindi salvarle, io le alimentavo con gli appositi sciroppi ma non progredivano. Quando poi è cominciata la fioritura del castagno ho visto un grande miglioramento, si sono riprese e sono ripartite. Sono stato fortunato perché c’è stata una bella fioritura anche di edera e hanno riempito tutto l’alveare con il miele di edera… si stanno nutrendo tutt’ora col miele che hanno raccolto.”
Come ci spiega Dino, c’è molto lavoro dietro ad ogni arnia.
“Ogni alveare è composto da 10 favi. In ogni telaio possiamo distinguere due parti: quella più in basso è il nido, dove risiede la famiglia (l’ape regina, le uova, le larve, i fuchi) e dove sta il polline. Quella superiore invece è il cosiddetto “melario” o magazzino, che viene inserito dall’apicoltore e nel quale si trova appunto il miele. Tra il nido e il melario viene messa una retina, chiamata “escludi regina”, che le impedisce di andare a deporre uova nella parte superiore. In questa sezione lavorano solo le api bottinatrici, le quali sono in grado di raccogliere il polline in un raggio di 3 km, coprendo quindi una zona molto vasta.
La produzione di ogni famiglia dipende dall’andamento della stagione, e varia in base a fattori quali pioggia, freddo, vento, ecc. A me personalmente non interessa la quantità del miele che riesco a produrre, mi interessa più che altro vedere che le mie api stanno bene! Preferisco avere una bella famiglia, che funziona bene, anche se non ha raccolto niente. Certo è una soddisfazione raccogliere il miele, ma io ci vedo più la passione di curare le mie api… una volta un vecchio apicoltore mi disse “il brutto è smettere”: effettivamente ora come ora farei fatica a rinunciare alle mie api! Quando avevo gli alveari a casa, passavo le mie giornate a osservarle e a controllarle!
In quelli che ho dislocati in giro invece controllo periodicamente che abbiano il miele sufficiente per nutrirsi, guardo come vanno le covate delle uova e le larve, e mi occupo di irrobustire le famiglie più deboli.
Le api si possono tenere anche a casa, a 5 metri dal confine con i vicini e/o dal suolo pubblico, e a 10 metri dalle strade. Questo elemento sicuramente ha incentivato in molte zone l’apicoltura urbana – che ha pro e contro: sicuramente vedere le api anche in un contesto cittadino permette a tutti di conoscerle meglio e di scoprire il valore del loro lavoro. Dall’altro lato però, che qualità può avere un miele raccolto in aree piene di smog?”
La passione è un ingrediente fondamentale per diventare apicoltori, ma serve molto altro, anche a livello burocratico.
“Io sono partito come apicoltore hobbista-di autoconsumo. In questa categoria si possono tenere fino a un massimo di dieci alveari. Due anni fa ho aperto la Partita IVA esonerata e ora posso tenerne fino a venti. L’intenzione è quella di vasettare anche un po’ di miele di tiglio, di acacia e di castagno per la vendita… sto già lavorando alla grafica delle etichette assieme a Elisa Sangiorgi! È soprattutto una soddisfazione personale quella di vedere stampata la propria etichetta sul proprio miele.
Per tenere le api adesso bisogna essere in regola: bisogna innanzitutto essere iscritti a una banca dati nazionale e tenere un registro vidimato dal Servizio Veterinario. Tutti gli anni poi, entro il 20 di dicembre, va fatto un censimento, dove si dichiara il numero di alveari in proprio possesso. Sono inoltre associato all’Associazione Romagnola Apicoltori, con sede a Bagnacavallo.”
Dino ha cominciato la sua attività di apicoltore da autodidatta, seguendo i consigli degli amici che già da tempo possedevano alcuni alveari, ma nel tempo, oltre all’esperienza accumulata, sono stati di aiuto anche momenti di confronto con gli altri apicoltori del territorio:
“A volte ci ritroviamo per delle riunioni tra apicoltori, oppure vengono organizzate delle lezioni online, nelle quali si parla dei trattamenti, della purezza e della qualità del miele, o dei rischi che ci possono essere ad esempio se lo si riscalda. Abbiamo poi un gruppo Whatsapp dove ci confrontiamo su varie tematiche.”
Un recente articolo uscito su Focus cita: “Prendete la lista della spesa e iniziate a cancellare le voci: melone, caffè, cioccolato, mele, limoni… se sparissero le api, e con esse altri preziosi insetti impollinatori, l’elenco dei cibi di cui dovremmo fare a meno diventerebbe infinito. Api, coleotteri, farfalle e altri impollinatori sono responsabili della buona resa del 75% dei raccolti su cui basiamo la nostra sopravvivenza. La salute di tutti questi impollinatori è oggi messa a dura prova: un quarto delle api europee rischia l’estinzione, per cause che includono l’uso di pesticidi, la scarsa disponibilità di cibo per gli insetti, la diffusione di parassiti autoctoni o alieni”. Oggi più che mai è importante quindi prenderci cura delle api, per il bene del nostro pianeta e della nostra stessa sopravvivenza.
“Pesticidi e diserbanti sono tossici… non solo per le api, ma anche per noi. Ce li mangiamo. Ma sono anni e anni che se ne abusa. Spesso non ci sono più fiori nel prato vicino ai filari dei frutteti, o comunque su di loro ci finiscono sopra dei veleni. È un ciclo: per avere più produzione si usano prodotti chimici, però poi ne risentono le api… e senza le api non c’è poi l’impollinazione, senza la quale le colture non vanno avanti.”
A tal proposito, Dino ha partecipato a “BeeNet”, un interessantissimo e importantissimo progetto nazionale di monitoraggio degli alveari e dell’ambiente promosso dal CREA. Gli obiettivi del progetto sono quelli di monitorare la salute degli alveari e di valutare, attraverso l’analisi di api e dei loro prodotti, la salubrità ambientale.
“Gli apicoltori che volevano aderire al progetto potevano mettere a disposizione un tot di alveari. Io ne ho messi a disposizione cinque: non li potevo spostare, perché due o tre volte all’anno venivano i ragazzi del programma “BeeNet” a fare dei prelievi di polline, api e miele per analizzarli attraverso esami di laboratorio e capire qual era l’incidenza dei pesticidi nelle varie Regioni italiane.”
Nonostante la grande importanza rivestita da questi impollinatori nell’ecosistema, ancora oggi purtroppo spesso ci imbattiamo in una scarsa conoscenza sulle api – che spesso vengono erroneamente confuse con le vespe o con altri insetti – e in atteggiamenti di timore e paura, quando invece possiamo affermare con assoluta certezza che le api pungono solamente se si sentono minacciate, e non per il puro piacere di attaccare l’uomo.
“Gli alveari sono un sistema molto affascinante: bisogna pensare a ciascun alveare come a un cervello: non dobbiamo pensare a loro come a un insieme di 100 o 1000 api, ma come ad un’ape sola. Si potrebbe pensare che sia l’ape regina a “comandare” nell’alveare, ma non è così: sono tutte le altre api a comandare. Ciascuna ape ha un suo ruolo: ci sono le bottinatrici; ci sono le “guardie” che ti attaccano se minacci l’alveare; ci sono le api che ispezionano le zone per la raccolta e, quando rientrano, fanno la “danza del miele”, scossando l’addome per far capire alle altre in che direzione andare per trovare i fiori da bottinare. Mi piacerebbe poter organizzare qualche laboratorio nelle scuole, per far capire ai bambini, fin dalla prima infanzia, il valore delle api.”
Ringrazio Dino per la chiacchierata e spero che questo articolo contribuisca ad aumentare la sensibilità di ogni lettore nei confronti di questi piccoli e meravigliosi insetti.
Benedetta Landi